L’iniziatore del karate moderno

Eventskarate 16 gennaio 2021

Ciro Varone

Agli inizi del XX secolo, per il karate incominciò una notevole trasformazione che avrebbe cambiato il modo di praticare, di comprendere e di diffondere l’arte della mano vuota.

 La trasformazione più importante, oltre alle infinite variazione stilistiche dei kata ortodossi che con il tempo ne depauperarono i principi marziali, avvenne con l’inserimento del jiyu kumite e dopo qualche decennio, l’avvio del kumite shiai accelerò ancora di più il cambiamento spinto verso il versante sportivo.

Nella scuola Shotokan, Yoshitaka Funakoshi, dopo un confronto di kumite con alcuni adepti della scuola di Goju ryu di Osaka, introdusse, contro la disapprovazione di suo padre, i primi esercizi di combattimento libero, segnando una svolta decisiva anche per altre realtà okinawesi.

Fu così che in molte scuole di karate la pratica principale e ripetitiva dei kata cominciò a lasciare il posto ai kihon kumite, anche i bunkai, veri codici segreti, si trasformarono in lunghi embu dove la cosa più importante oggi è diventata la memorizzazione delle combinazioni, tali esercizi semplificati in attacchi e parate, quasi tutti eseguiti a una distanza convenzionale e prestabilita, attualmente sono diventati applicabili soltanto con un compagno collaborativo o che ha ricevuto lo stesso tipo di formazione marziale, mentre, come è noto gli atti di ordinaria violenza sono governati da spazio/tempo completamente diversi tra quello che si sviluppa tra due atleti che si affrontano in un combattimento sportivo.

Per esigenze di punteggio nel kumite regolamentato le parate hanno acquisito sempre meno importanza, per totalizzare velocemente i punti in un torneo, buona parte del kumite odierno è improntato sulla velocità degli attacchi, talvolta a discapito della stabilità e, di conseguenza, della potenza d’impatto dei colpi e della copertura dei punti neurologici che invece avviene con l’uso appropriato delle parate. Eppure il concetto di ” karate ni sente nashi” è alla base dell’arte, poiché, come è ben noto, il karate è nato per la difesa personale non per attaccare per primi (karate ni sente nashi).

Il karate, giunto in Giappone ed entrato in contatto con la cultura del Budo giapponese, attinse le diverse nozioni di combattimento basato su tempo, distanza e anticipo, ciò lo rese più presentabile al popolo giapponese e molto più simile agli sport di combattimento occidentali.

Con tale contaminazione il karate mescolò le proprie radici cinesi con la metodologia del Budo giapponese, da tale fusione ne scaturì una nuova metodica d’addestramento molto distante dal karate okinawese, di seguito tale trasformazione venne integrata e fatta accettare alle nuove generazioni di praticanti: la maggior parte di questi giovani erano studenti universitari, curiosi di misurare le loro capacità combattive in tornei a punti.

Nella sua testimonianza Ichizo Otake, evocando i ricordi con il maestro Gichin Gichin Funakoshi, dice: ” in molte università, alcuni studenti cominciavano a fare combattimento libero e a confezionare delle armature di protezione…”.

Il tutto si basava sulla prospettiva di riformulare un nuovo karate, il nuovo karate giapponese, uno sport più moderno e alla portata di tutti.

 

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