L’Aikikai d’Italia

eventskarate 1970

 

Vaghe notizie sull’esistenza di una arte marziale giapponese denominata aikido iniziarono a diffondersi nel nord Italia negli anni 50, finché ci furono alcune occasioni di incontro e di studio con alcuni insegnanti residenti in Francia, tra cui Kenshiro e Tadashi Abe, Minoru Mochizuki ed altri; non ci fu però occasione di istituire dei corsi regolari.

 

Ma negli stessi anni insegnava in Roma presso l’Istituto di Studi per il Medio ed Estremo Oriente il professore Salvatore Mergé, che aveva risieduto a lungo in Giappone ed era stato introdotto allo studio dell’aikido nel 1942 circa: fu proprio da lì che iniziò la catena di avvenimenti che portò poi ad una larga diffusione dell’aikido in Italia, ed alla nascita dell’Aikikai. Ecco come ricorda quei tempi lontani uno dei protagonisti: Stefano Serpieri [1].

«Con un gruppo di amici avevamo formato una specie di cenacolo, dedito alla ricerca di una via spirituale, che ci avrebbe dovuto fornire delle risposte alle tante domande che ci ponevamo sul significato della nostra vita, del perché eravamo nati e dell’eventuale scopo della nostra venuta su questa terra …  una cosa che credemmo di capire fu che le risposte alle nostre esigenze spirituali le avremmo ottenute iniziando un percorso nella Tradizione orientale, giacché la Tradizione occidentale, da noi conosciuta in quel momento, non soddisfaceva le nostre necessità e la nostra visione del mondo. …. Decisi quindi d’iscrivermi all’Ismeo, l’Istituto per il medio e l’estremo oriente diretto allora dal prof. Tucci, al corso di lingua giapponese, pensando che l’apprendimento di quell’idioma avrebbe facilitato la mia ricerca in quel Paese di qualcosa o di qualcuno che sarebbe stato poi d’ausilio nella mia ricerca spirituale.  L’insegnante di lingua giapponese  per il mio corso era il prof. Salvatore Mergè ed era l’anno 1957… Ecco come raccontò il suo incontro con il Maestro Ueshiba:  … Finalmente, dopo alcuni tentativi andati a vuoto, fu fatto entrare in casa per ricevere la risposta alla sua richiesta d’incontro con il Maestro Ueshiba. Fu fatto accomodare in una stanza dove c’era un signore anziano che stava leggendo un libro e che non sollevò minimamente il capo quando lui entrò. Dopo un po’ di tempo che lui aspettava, la persona che leggeva si alzò e, senza proferire parola, uscì dalla stanza.  … Questa situazione si svolse ancora altre volte, con grande sacrificio del prof. Mergè, che doveva affrontare il viaggio fino alla casa del Maestro Ueshiba e poi andare al lavoro presso l’ambasciata italiana di Tokio. Quando arrivò il giorno in cui potè parlare con il maestro lo riconobbe nella persona che non gli aveva mai rivolto la parola mentre attendeva nella stanza della casa di O Sensei. Fu accettato come allievo, e l’evento fu abbastanza straordinario, poiché il Maestro Ueshiba durante il periodo della guerra non aveva voluto nessun nuovo studente per i corsi di Aikido, figurarsi uno straniero!”

Intravedevo nell’Aikido il cammino che avrei dovuto percorrere per iniziare una via di conoscenza interiore, e nel Maestro Ueshiba la guida spirituale che cercavo. Di tutto questo ne parlai con il prof. Mergè che mi ascoltò con attenzione e curiosità, ma l’unica cosa che ottenni da lui fu che una sera venne nella palestra di judo che allora frequentavo e mi fece vedere, anzi più che vedere spiegò, alcune tecniche di Aikido parlando di unione di ki ed altre cose che in quel momento non capii. Un giorno tutti noi studenti dei corsi di lingua giapponese fummo invitati presso l’ambasciata del Giappone per una conferenza sulla cultura di quel Paese. In quell’occasione il prof. Mergè mi presentò una ragazza giapponese che si trovava in Italia per studiare arte, anzi scultura, presso il laboratorio di Pericle Fazzini. Nella presentazione che fece disse che anche la ragazza studiava Aikido, e mi presentò a lei come uno studente di lingua giapponese molto interessato a quest’arte marziale. La ragazza si chiamava Haru Onoda [2]. Non mi feci sfuggire l’occasione, e riuscii ad impegnare la signorina Onoda, allora shodan di Aikido, ad insegnarmi qualche rudimento di quell’arte. Andavamo ad allenarci presso una palestra sita nei pressi di via Veneto, ospiti del Maestro di judo Ken Otani, che in quel dojo allenava la nazionale italiana di judo. Potei, purtroppo, avere solo pochi insegnamenti su questa nuova arte marziale, l’Aikido, perché la signorina Onoda era sempre molto impegnata con lo studio della scultura. In quei brevi periodi che c’incontravamo, approfittavo anche di farmi raccontare dei suoi rapporti con il Maestro Ueshiba del quale mi disse essere stata la segretaria. … Purtroppo dopo pochi allenamenti che feci nell’arco di un anno, dovetti smettere perché la signorina Onoda si doveva trasferire, provvisoriamente e sempre per motivi di studio,  in Sud America. Per cause contingenti e personali lasciai anche il mio studio della lingua giapponese e mi rituffai nei problemi ordinari della vita cosiddetta normale.»

Quella breve esperienza interrotta prematuramente stava però facendo nascere qualcosa: spostiamoci a Tokyo, dove il maestro Ueshiba Morihei, assieme a suo figlio Kisshomaru, risponde alle domande di un giornalista; siamo nel 1957 [3]:

»Mi sembra di capire che ci sia un numero considerevole di persone che studiano aikido anche all’estero.

Kisshomaru Ueshiba: Il signor Tohei ha visitato sia le Hawaii che gli Stati Uniti  allo scopo di insegnare aikido. Le Hawaii sono luogo dove l’aikido ha la maggiore popolarità, con 1.200 o 1.300 praticanti. Come se ce ne fossero 70/80.000 a Tokyo. Ci sono anche alcune cinture nere in Francia. C’è un francese che ha iniziato a studiare aikido dopo essersi infortunato praticando judo [4]. Voleva sperimentare lo spirito dell’aikido ma non poté riuscirvi in Francia. Sentì che per cercare il vero spirito dell’aikido doveva recarsi sul luogo natale dell’arte. Ci ha spiegato che per questo è venuto in Giappone. Anche l’ambasciatore di Panama sta studiando aikido, ma sembra che il clima giapponese sia troppo freddo per lui e non pratica durante l’inverno. C’è anche una signora di nome Onoda Haru, che si è recata a Roma per studiare scultura. Ha cominciato a venire al dojo dai tempi in cui studiava  all’Accademia di Belle Arti di Tokyo. Ho appena ricevuto una lettera da lei dove dice di avere incontrato un italiano che pratica aikido, e di essere stata trattata da lui molto bene.»

Seguirono alcuni anni altalenanti e diverse interruzioni dovute ai molteplici impegni e viaggi della signora Onoda, pure quel seme avrebbe germogliato a breve; non si hanno notizie certe di ulteriori contatti epistolari tra Haru Onoda e l’Hombu Dojo, ma è accertato che Ueshiba Morihei non solo avrebbe intensamente desiderato venire a Roma per incontrare la sua ex segretaria, ma addirittura all’inizio degli anni 60 mise in allarme i suoi collaboratori per preparare il viaggio; tutto sfumò, ma è evidente che da Tokyo si osservava attentamente quanto stava accadendo a Roma.

Qualcosa cambiò d’improvviso, nel 1964, ad opera del maestro Tommaso Betti Berutto, pioniere del judo in Italia ed autore di un manuale, Da cintura bianca a cintura nera, in cui si parlava non solo di judo ma di ogni arte marziale giapponese conosciuta allora; su quel libro, uscito in innumerevoli edizioni, crebbero diverse generazioni di praticanti, soprattutto ma non solo di judo; proprio nell’edizione del 1964 si parlava per la prima volta di aikido, destando interesse verso quest’arte fino ad allora sconosciuta; come mai? risentiamo le parole di Danilo Chierchini[5]:

«Il telefono squillò a lungo nella notte e mi alzai per andare a rispondere trascinando le pantofole sul pavimento: era il Maestro Betti che mi disse a bruciapelo: “Qui da me c’è un giovane giapponese appena arrivato da New York, vorrebbe fare Aikido e cerca una palestra, t’interessa? a proposito, parla bene l’inglese.” Così, alla maniera di certi romanzi gialli iniziò la vicenda dell’Aikido in Italia ai primi del 1964; all’epoca mi occupavo di Judo ed ero responsabile di una palestra aziendale nel cuore del vecchio Trastevere; la S.S. Monopoli Judo, da me fondata e diretta con alterna fortuna fin dal 1955.

 

Dell’Aikido non sapevo quasi nulla, ero rimasto impressionato da un bellissimo documentario televisivo imperniato sul Maestro Ueshiba, avevo visto una esibizione un po’ meno.., impressionante della Sig.na Onoda, una scultrice giapponese operante in Roma e infine, spinto dalla curiosità, decisi di tentare l’esperienza. Il 8 febbraio 1964 il Sig. Kawamukai, così si chiamava “ il giovane giapponese” impartì la prima lezione di Aikido a quattro persone; a me, a mia moglie e ad un’altra coppia, formata da un mio collega d’ufficio con relativa consorte. … Nell’estate facemmo venire dalla Francia il Maestro Nakazono VI dan il quale, ahimé, anziché portare nuovi lumi alle nostre conoscenze, aumentò la nostra confusione tenendo una dotta conferenza in nippo-francese sul Ki in quanto espressione dell’energia presente nell’universo. … Fu in questi frangenti che riapparve il Maestro Betti, questa volta accompagnato dal Maestro Kobayashi arrivato fresco fresco dal Giappone per rendersi conto dello sviluppo dell’Aikido in Europa: come prima tappa in Roma deve avere avuto, di tale sviluppo, un ricordo indimenticabile: tra mucchi di detriti dovuti ai lavori di restauro, infissi rotti e polvere ovunque, fece un solenne ingresso nel locale dove si aggiravano quattro o cinque persone più che altro attente a non fare cadute sui tatami per evitare le nuvole di polvere che ogni volta si sollevavano dagli stessi. Comunque, imperturbabile, il Maestro fece la sua lezione, con foto ricordo finale e la visita romana si concluse in una pizzeria di Trastevere.

 

A questo punto, vuoi per l’episodio Kobayashi, vuoi per la stasi estiva delle attività, i rapporti tra me ed il Maestro Kawamukai entrarono in crisi; secondo lui occorreva fare subito qualcosa di esplosivo per il rilancio dell’attività nell’incombente autunno quando i locali sarebbero stati pronti ad accogliere gli aspiranti aikidoisti. Alla fine dal cervello vulcanico del Maestro Kawamukai (aveva allora diciotto anni!) sortì la grande idea: occorreva fare venire dal Giappone un grande Maestro la cui personalità ed esperienza avrebbero finalmente dato il via all’espansione dell’Aikido in Italia: tale maestro si chiamava Hiroshi Tada: la sua bravura veniva sintetizzata da Kawamukai con la frase: “ he’s terrible!”.

 

E così avemmo il coraggio di scrivere al Maestro Tada proponendogli di venire, a sue spese, in Italia ad insegnare aikido; ma la cosa più stupefacente, date le premesse, fu che lui accettò, atterrò a Fiumicino il giorno 26 ottobre 1964 ed il giorno successivo iniziò i corsi di aikido presso la S.S. Monopoli Judo, corsi che ebbero durata fino all’estate del 1967, data del passaggio dell’attività presso l’attuale Dojo Centrale.»

 

Ed ecco perché il quarantesimo l’anniversario dell’Aikikai è stato festeggiato nell’ottobre del 2004, nonostante l’associazione sia stata fondata solamente sei anni dopo il 1964. Sappiamo ora che l’Hombu Dojo era costantemente informato attraverso Haru Onoda di quanto succedeva, non dobbiamo quindi sorprenderci più di tanto che il maestro Tada abbia accettato a scatola chiusa di trasferirsi in Italia. Va ricordato anche che il maestro Hirokatsu Kobayashi all’epoca aveva un mandato esplorativo da parte dell’Hombu Dojo per la diffusione dell’aikido in Europa, ed anche lui deve avere inviato regolarmente dei rapporti. Ma lasciamo ora la parola al maestro Tada in persona:

 

«Quando sento parlare di diffusione dell’aikidô all’estero, nella mia mente si affollano i ricordi della festa di commiato in cui O-sensei sedeva attorniato dai suoi migliori allievi che si apprestavano a partire per l’estero: il Sig. Mochizuki, il Sig.Tôhei, il Sig. Abe, il suono del gong e il fischio della sirena che annunciavano la partenza della nave dalla banchina del porto di Yokohama. A queste memorie si sovrappone il ricordo del giorno in cui, agli inizi degli anni ’30, mio padre partì per andare in Occidente a bordo della “Tatsutamaru”. Fu in quell’occasione che, mentre mi sforzavo affannosamente di colpire la nave con delle stelle filanti (malgrado i miei slanci non riuscissero minimamente nel loro scopo), ebbi la vaga sensazione che anch’io un giorno sarei andato all’estero. Questo mio sogno si venne a realizzare nel 1964.


A quei tempi tutti coloro che si recavano all’estero per diffondere professionalmente l’aikidô, erano tenuti a rispettare tre regole:


1) partire da soli;

2) comprare un biglietto di sola andata;

3) non portare con sé soldi, né farseli spedire o guadagnarseli lavorando.


Osservando alla lettera queste tre regole, lasciai la mia casa di Jiyûgaoka con 250 dollari in tasca poco prima che finissero le olimpiadi di Tokyo.  Partii senza avere programmi ben precisi, la mia idea era, in linea di massima, di andare in ltalia e poi passare per l’America prima di tornare in Giappone. Il primo giapponese che fece conoscere l’esistenza dell’aikidô in ltalia fu il Sig. Abe Tadashi, che svolgeva la propria attività aikidoistica in Francia, cui fecero seguito la scultrice Sig.na Onoda Haru, e il Sig. Kawamukai che si recò a Roma per turismo. Quando arrivai a Roma, il 26 ottobre del l964, conobbi il Sig. Danilo Chierchini, allora responsabile del club-dopolavoro del Monopolio di Stato dei Tabacchi situato a Trastevere, e iniziai gli allenamenti nel suo Dôjô.»

 

E’ di nuovo ora Danilo Chierchini a parlare:

 

«Era la primavera del 1965 e tramite le mie conoscenze nell’ambiente judoistico riuscii a presentare il Maestro Tada al comandante della scuola di P.S. di Nettuno. Si riuscì ad organizzare una esibizione di aikido nel dojo della scuola di P. 5., famosa per avere una squadra di Judo di importanza nazionale, presenti i maggiori dirigenti della scuola e con tutte le cinture nere di Judo della stessa sul tatami. L’esibizione fu talmente convincente che fu ripetuta nel pomeriggio all’aperto presenti tutti gli allievi di P.S. della scuola: inoltre il Maestro Tada venne incaricato di insegnare, alle sole Cinture Nere di Judo, difesa personale ed aikido presso il dojo della P.S. Tornando alla dimostrazione della mattina dirò che il Maestro Tada venne sottoposto ad ogni sorta di attacco con e senza armi; facevano da Uke alcuni grossi campioni di Judo (grossi anche perché alcuni superavano abbondantemente il quintale di peso) ed il tipo di attacco veniva richiesto dagli ufficiali che assistevano alla esibizione seduti ai bordi del tatami, divertendosi un mondo a vedere i loro compagni in difficoltà perché sottoposti a dolorose leve, disarmati con facilità, proiettati con grazia e così via.»

 

Nel giro di poco tempo, per opera del maestro Tada e dei suoi collaboratori, l’aikido usciva dal limbo e cominciava ad essere praticato in quattro aree ben distinte: nel lombardo-veneto attraverso il maestro Kawamukai, nel frattempo trasferitosi a Milano, a Torino dove si era stabilito il maestro Toshio Nemoto, a Napoli dove era arrivato il maestro Masatomi Ikeda; oltre naturalmente che a Roma dove risiedeva ed insegnava in un suo dojo il maestro Tada. Come riportato innanzi da Chierchini, il maestro Tada aveva infatti deciso nel giro di pochi anni che era necessario disporre in un luogo dedicato esclusivamente alla pratica dell’Aikido. Ce ne parla lui in prima persona:

«A quei tempi viveva a Roma il prof. Mergé, che aveva frequentato il Ueshiba Dôjô nel periodo in cui aveva lavorato presso l’Ambasciata ltaliana di Tokyo durante la guerra. Alcuni fra i suoi allievi dell’Ismeo di Roma, che avevano sentito parlare del Maestro Ueshiba Morihei dal professore, vennero subito ad iscriversi. Grazie all’aiuto di uno di questi allievi, il Sig. Stefano Serpieri, fu in seguito possibile spostare la sede del Dôjô in un  edificio di proprietà del demanio. Quest’edificio, circondato sui quattri lati dai resti delle mura dell’antico acquedotto romano, dal Museo Militare e dagli uffici dell’Acquedotto, la sera rimaneva completamente immerso nel silenzio. L’attuale Scuola Centrale dell’Aikikai d’Italia continua ad essere situata ancora oggi nello stesso edificio. [6] In quel periodo io alloggiavo in una stanza adiacente al tatami situata sotto una scala che gli allievi chiamavano “la grotta del Maestro”.»

Ma come fu, vista “dall’altra parte” quell’avventura? [7]

«Finalmente dal mazzo di chiavi dopo averne provate inutilmente decine uscì fuori quella giusta; potemmo aprire una porta quanto mai cigolante ed entrare dentro, nella penombra; man mano che aprivamo le altre porte per avere un pò di luce ci si rivelava agli occhi un enorme capannone, con due gradinate ai lati, sommerso dalla polvere e pieno di rifiuti in ogni dove: ci aggiravamo circospetti in quel disordine, sollevando nuvole di polvere ad ogni passo e guardandoci ogni tanto di sottecchi con aria disgustata, mentre i più giovani del gruppo (eravamo tutti tra i 13 e i 20 anni) avevano scovato da un grosso sacco dei polverosi ed ammuffiti guantoni da boxe e dopo esserseli infilati avevano cominciato a darsele di santa ragione, indifferenti al resto del mondo.

Lui, il maestro Tada, altrettanto indifferente, si aggirava intorno con aria pensierosa; a tratti fissava qualcosa, ed aggrottava la fronte, poi piegava un pò la testa da un lato; sapete, come fa sempre quando pensa a qualcosa e sembra che stia per chiederti che ne pensi… e tu ti precipiti a pendere dalle sue labbra… Poi (come fa sempre) scrollava la testa negativamente, e non diceva nulla. Alcuni di noi già si erano radunati vicino alla porta, pronti ad andarsene; si discuteva di potevamo andare a cercare altri locali adatti ad una palestra. Lui intanto continuava il suo esame. Tornava su dei posti già visti. Si metteva in un angolo a braccia conserte a pensare.

Nel nostro gruppetto intanto si malediceva chi aveva avuto la sciagurata idea di proporre quel posto e si conveniva sull’assurdità di averlo creduto adatto. Il maestro si era messo al centro dello sterminato stanzone, e girava su se stesso come per dargli un’ultima occhiata. Poi accadde una cosa che nessuno di noi avrebbe previsto: mise le mani sui fianchi, e lentamente gli si dipinse sul viso un timido sorriso, che poi poco a poco si allargò fino alle orecchie; cominciò di nuovo a guardarsi intorno, questa volta annuendo ogni tanto, poi sparì a vedere che c’era dietro una porticina, col piglio sicuro di Colombo che prendeva possesso delle Indie Occidentali.

Non so voi… ma noi l’antifona la capimmo.

“Beh – fece uno –  è abbastanza grande…”

“Con una buona ripulita…”, buttò lì un altro.

“Dobbiamo rimediare gli attrezzi…”, fece il più pratico.

Era l’aprile del 1967, e per un paio di mesi avremmo lavorato con il maestro a mettere in piedi, o almeno in un precario equilibrio sufficiente almeno a cominciare i corsi,  il Dojo Centrale»

Pur mantenendo la sua base a Roma fin dall’inizio il maestro iniziò a viaggiare instancabilmente attraverso l’Italia per diffondere l’aikido. Trovò naturalmente terreno fertile al nord, dove i pur sporadici contatti con i maestri d’oltralpe avevano lasciato un seme che avrebbe allora finalmente germogliato, ma anche al sud attraverso contatti con il maestro Attilio Infranzi:

«L’anno seguente mi venne richiesto di iniziare dei corsi a Napoli e a Salerno, decisi così di chiamare dal Giappone il Sig. Ikeda Masatomi (attualmente 7° Dan – Direttore didattico dell’Aikikai della Svizzera) del Dôjô di Jiyûgaoka. Un anno dopo il Sig. Nemoto Toshio, laureatosi presso l’universita di Waseda, che venne in ltalia al ritorno da un soggiorno di studi in America, accettò l’incarico di seguire la diffusione dell’aikidô a Torino, nel nord ltalia, dove ha vissuto per alcuni anni (attualmente il Sig. Nemoto svolge l’attività di amministratore presso la societa giapponese Akai Denki). In quel periodo, il sig. Brunello Esposito, il Sig. Pasquale Aiello e il Sig. Auro Fabbretti, che attualmente posseggono il grado di 5° Dan [8], iniziarono a praticare.»

Ma converrà ora lasciare la parola al maestro Ikeda [9]:

«Ero ancora studente di Università, quando il mio Maestro, Tada Sensei, partì per l’Italia. Prima di partire lui mi disse che quando ci fosse stato bisogno di un altro insegnante giapponese in Italia, mi avrebbe chiamato. Da questo momento la mia esistenza fu ad un bivio e si imponeva per me la necessità di scegliere tra due vie diverse: una volta terminata l’Università, col conseguimento della Laurea in Educazione Fisica, avrei potuto iniziare ad insegnare nelle scuole; oppure, come ho detto prima, mi si prospettava la possibilità di recarmi in Italia. In questo periodo mi interessavo molto dell’Aikido e avevo un gran desiderio di andare avanti nella pratica; quindi, davanti all’opportunità di insegnare e imparare nello stesso tempo, cioè quello che mi offriva il Maestro Tada qui in Italia, io lasciai da parte la professione per la quale avevo studiato e decisi di rendermi disponibile a partire. Il Maestro Tada mi chiamò quasi subito; in quel momento egli riteneva che fosse molto importante curare il Sud-Italia. Già prima di partire dal Giappone sapevo che la mia destinazione sarebbe stata Napoli.

 

Quando finalmente arrivai in Italia, il Maestro Tada aveva già preparato tutto per me; aveva lasciato a Napoli un uomo che aveva l’incarico di aiutarmi in tutto quello di cui avessi avuto bisogno durante il mio soggiorno in Campania. Costui era il sig. Infranzi, che ormai forse solamente i vecchi allievi ricordano. Iniziai subito a insegnare a Salerno e Napoli. Alll’inizio è stato molto complicato; i miei allievi provenivano da altre Arti del Budo, e dell’Aikido conoscevano solo il nome. Alcuni ne avevano sentito parlare, però non sapevano esattamente di cosa si trattasse. La difficoltà maggiore consistette proprio in questo: in ogni cosa fui costretto ad iniziare totalmente da zero. Inoltre c’era un altro aspetto a complicare le cose. Quando mi fu chiesto di venire dal Giappone, nei patti fu preventivamente stabilito che a Napoli io avrei curato non solo il corso di Aikido, ma anche quello di Judo. La società cui allora Tada Sensei si appoggiava aveva bisogno di un istruttore per entrambe le discipline. Il Maestro fu un po’ in imbarazzo, ma erano tempi in cui bisognava sapersi adattare; d’altra parte sapeva che io praticavo da tempo sia Judo che Aikido. In fondo forse scelse me proprio per questo motivo.

 

 

Una volta giunto comunque presi ad insegnare contemporaneamente Aikido e Judo: alle difficoltà di adattamento, mi si aggiungeva il problema dell’insegnamento moltiplicato per due. Molti dei miei allievi di allora mi seguivano sia come aikidoka che come judoka; di loro praticano ancora Pasquale Aiello, Nunzio Sabatino, Brunello Esposito, che fanno parte del primo gruppo che ho curato. Successivamente fu la volta della generazione di Agostino Pagano. Sono rimasto a Napoli daI 1965 al 1970. Poi tornai in Giappone.

 

Prima di arrivare a Napoli avevo insegnato Educazione Fisica per sei mesi. Inoltre ero stato Assistente del Maestro Tada nel suo Dojo di Tokyo; quando lui era assente, lo dovevo sostituire. Questo è stato fondamentale per la mia crescita. Soprattutto i quattro anni di studio all’Università mi hanno dato molto per quello che concerne l’apprendimento di un metodo di insegnamento. Quindi un po’ l’Educazione Fisica mi ha aiutato. Però ritengo che, man mano, insegnando Aikido e seguendo l’esempio di altri grandi Maestri, sia venuto fuori un mio metodo particolare. forgiato dall’influsso della mia personalità.

 

Quando sono arrivato a Napoli e ho iniziato a vivere quotidianamente con i napoletani, in un primo momento ho sentito un grosso contrasto fra il mio modo di essere e il loro. Però piano piano le cose cambiarono. Mi resi conto allora che se ero venuto a Napoli forse solo per un caso, d’altra parte sembrava quasi che lo avesse scelto il destino. Così presi a considerare Napoli la mia seconda patria e a viverci provando piacere giorno per giorno. Il costume di Napoli e di molte altre zone d’Italia è molto simile a quello del Giappone, molto, ma molto di più di quanto comunemente si pensi.»

Apriamo una nuova parentesi ed occupiamoci ora dell’altro lato dell’Italia, seguendo la testimonianza del maestro Giorgio Veneri [10])

« Abbiamo iniziato nel ‘64; allora praticavamo judo e vedemmo il maestro Kawamukai in azione a Milano. Ne fummo molto impressionati, e cosi gli chiedemmo di venire a Mantova per tenere un corso di aikido, di cui Lusvardi [11]) ed io fummo i primi iscritti. Il nostro esordio, la prima lezione, fu durante una manifestazione che il maestro Kawamukai tenne a Mantova a scopo promozionale: pur non conoscendo nulla di aikido gli facemmo da UKE… e fu l’inizio della nostra rovina! I primi esami erano poco duri.

«Quattro tecniche e basta», interviene Lusvardi

I successivi erano invece molto lunghi e faticosi e con una grande varietà di tecniche. Nel 1968 Franz, De Compadri ed io siamo stati nominali dal maestro Tada shodan, per primi in Italia; anzi, ora che mi ricordo c’era anche Cesaratto [12]). Alla fine dell’esame, alla presenza di maestri come Noro, Asai ed Ikeda, il maestro Tada ci fece una tremenda scenata: era arrabbiatissimo per la nostra incompetenza. Ci gelò insomma: eravamo ormai convinti di essere stati bocciati; invece dopo un po’ esordisce con un “Quando si è shodan, allora si comincia a capire qualcosa”, e noi dalle stalle alle stelle! ». Un momento prima aveva chiamato il maestro Asai, per dargli notizia della sua promozione a 5° dan: Asai si commosse a tal punto che scoppiò a piangere …  Per il maestro Tada il mio è stato un vero e proprio coup de foudre; quando l’ho visto mi son detto: « ‘Sto qua è il mio uomo! ». A parte gli scherzi, chi lo conosce sa che è un uomo squisito: io ho avuto la fortuna di apprezzarlo anche al di fuori della palestra, quando era mio ospite a Mantova: è un piacere per me ricordare la sua amicizia con mia moglie, che non pratica aikido e non è preda della soggezione nei confronti del maestro che abbiamo tutti noi: « Maestro, gli diceva, lei che ha tanta forza prenda un po’ la tavola e la porti qui ». Ed il maestro Tada sorridendo, imperturbabile, eseguiva gli ordini e poi apparecchiava la tavola.»

A questo punto dell’intervista interviene il maestro Lusvardi:

 

« Mi volevo riallacciare al discorso di Giorgio: noi di Mantova a questi maestri che ci parlavano di ki abbiamo offerto le nostre case, abbiamo fatto in modo che Mantova fosse la loro città. Con loro il nostro rapporto era più completo: dopo cena potevamo esporre i nostri dubbi e loro cercavano di darci spiegazioni. Questo avveniva ai primordi, quando l’aikido veniva visto come qualcosa di nuovo, di magico. Dopo c’è stato il bisogno dell’organizzazione: puoi pure cancellare quello che sto per dire: l’organizzazione è quell’istituzione che prepara la vita ad una certa attività, però tante volte, quando si deve scegliere tra il principio e l’organizzazione, si butta via il principio per salvare l’organizzazione.

Allora l’organizzazione non c’era ancora, era quello il periodo dei pionieri, quando le arti marziali erano ancora cose mai viste e che a quel tempo facevano molto scalpore. E nel ‘68, quando per la prima volta il maestro Tada ci ha insegnato kokyu, noi abbiamo pensato: «Ma come mai, ma cosa dice questo qui? Respirare per i piedi?! ». Mentre adesso l’aikido si può rivolgere ad una società preparata a queste tematiche dallo yoga e dalle filosofie orientali, allora, qui in Italia, queste cose non esistevano. «Respirare attraverso la spada, la sensibilità della punta della spada è uguale a quella della punta delle dita. Erano temi che facevano sconcerto. Ed io che sono medico, all’inizio ero molto perplesso; però constatare che persone fisicamente poco dotate potevano sviluppare un’energia particolare, insieme al convincimento, mi ha dato quel rispetto nei confronti dei maestri, non solo per la loro conoscenza tecnica, ma per quel di più che indubbiamente possedevano.»

 

Ma scopriamo, tornando all’intervento del maestro Tada, che dietro il successo tecnico di quel raduno non erano tutte rose e fiori:

«Nel 1968 tenni il primo raduno Internazionale di aikidô al Lido di Venezia. Tale raduno, durante il quale condussi per la prima volta gli esami di grado Dan, si rivelò un grande successo ma, allo stesso tempo, un notevole disastro sotto l’aspetto economico, a tal punto che non fu possibile neppure coprire le spese di trasporto per ritornare a Roma e a Torino. Dal terzo anno in poi, dell’organizzazione di questo raduno estivo si venne ad interessare il Sig. Giorgio Veneri di Mantova, che ha continuato fino ad oggi ad essere il responsabile di tale manifestazione, attualmente svolta ogni estate a Coverciano.

Pur avendo sempre cercato di fare del mio meglio, dedicandomi con tutte le mie forze all’attività di diffusione dell’aikidô, occorsero ben sei anni prima che l’Aikikai d’Italia assumesse una struttura stabile e che riuscissi ad acquistare un biglietto aereo per tornare in Giappone. Ciò accadde perché si decise di non appoggiarsi alla federazione del judô, né ad altre organizzazioni sportive per la diffusione dell’aikidô. Se l’aikidô si fosse diffuso attraverso queste organizzazioni, probabilmente si sarebbe potuto incrementare di molto il numero degli iscritti, ma ciò avrebbe senz’altro comportato la creazione di un’associazione dalle caratteristiche completamente differenti rispetto a quella attuale.»

Nel 1970 il maestro Tada trovava che fosse giunto il momento per dare una struttura stabile a quanto da lui creato: veniva fondata a Roma l’Accademia Nazionale Italiana di Aikido, Aikikai d’Italia, che avrebbe presto preso il nome definitivo di Associazione di Cultura Tradizionale Giapponese, Aikikai d’Italia. Veniva scelta come sede sociale dell’Associazione la Scuola Centrale di Roma, dal maestro Tada ceduta a titolo gratuito, in modo da dimostrare alle autorità il carattere squisitamente culturale ed accademico dell’Associazione stessa. Lo stesto lo avrebbe poi riconosciuto nel 1978 con Decreto del Presidente della Repubblica che erigeva l’Associazione ad Ente Morale,  su proposta del Ministero dei Beni Culturali.

Ma improrogabili impegni costringevano i maestri Ikeda e Nemoto a tornare in Giappone, mentre lo stesso maestro Tada, dopo l’indimenticabile cerimonia di matrimonio con la signora Kumi avvenuta all’interno della Scuola Centrale, era forzato per curare l’educazione del figlio Takemaru a riprendere dimora in Giappone diradando la sua presenza in Italia. Fortunatamente nel 1970 veniva a stabilirsi in Italia, a Milano, il maestro Yoji Fujimoto [13]):

«Era un’idea che era venuta maturando già dalla fine delle scuole medie inferiori. L’aikido non c’entrava niente allora, volevo uscire dal Giappone, vedere altri paesi. Ne parlai con mio padre il quale, nascondendomi il suo disaccordo, prese tempo dicendomi che nel mondo moderno la licenza media inferiore non era più sufficiente a garantire prospettive per il futuro e che sarebbe stato meglio completare gli studi superiori. Terminato il liceo tornai alla carica. Mio padre mi diede la sua approvazione ma, questa volta, fu mia madre che prima di acconsentire volle interpellare i miei insegnanti. Avevo allora un professore che giocava a calcio nella nazionale giapponese e che aveva frequentato la Nitaidai, il quale mi consigliò di frequentarla.

Mi disse in sostanza che la mia preparazione non era ancora completa e che un conto era recarsi all’estero da turista, altro era costruirsi un futuro. La Nitaidai godeva fama di Università dalla rigida disciplina e severamente formativa: se ce l’avessi fatta a superarla avrei forse avuto delle buone carte da giocare per il mio futuro e così mi laureai in Scienze motorie.[In Italia] non ricordo particolari difficoltà… i problemi erano soprattutto di ordine burocratico: il permesso di lavoro, i documenti vari e cose di questo genere. Per il resto, l’iniziale mancanza di allievi, la fatica per cominciare a raccogliere un pò di praticanti… beh, tutto questo è normale. Gli inizi sono sempre difficoltosi, ma questo lo sapevo già, me lo aspettavo. Se, per esempio, uno vuole vivere cominciando a vendere accendini in un posto dove tutti hanno sempre usato solo fiammiferi, si farà fatica all’inizio, ma questo è normale, no?

Economicamente fu molto dura (e qui il Maestro ci picchia una sonora risata). Tanto per capire: io insegnavo tre o quattro volte la settimana in una palestra, avevo una sessantina di allievi e le trentamila lire che guadagnavo se ne andavano tutte per l’affitto di casa. Allora abitavo con un judoka e un karateka e c’era sempre un via vai di altra gente che veniva ospitata; in pratica c’erano quasi sempre sette o otto persone. Si, ognuno divideva le spese – si fa per dire – ma un lavoro vero l’avevo soltanto io. Però in qualche maniera da mangiare c’era: quando c’erano i soldi si comperava… non so… una decina di chili di riso; mi ricordo che una volta abbiamo vissuto cinque o sei giorni soltanto di ciliegie; un’altra volta, era d’estate, soltanto d’anguria.., anguria e sale, come si usa in Giappone… mettendo il sale diventa più dolce. Eh si, economicamente è stata dura, ma non più di tanto… eravamo giovani.

 

Inizialmente non c’è stato un preciso motivo [per venire in Italia], piuttosto si è trattato di un intreccio di combinazioni tant’è che io desideravo andare negli Stati Uniti, dove il Maestro Tohei aveva una serie di conoscenze. A quel tempo c’era il Maestro Tada a Roma e ad occuparsi di Milano c’era un altro Maestro giapponese, di nome Kawamukai, che insegnava aikido in una palestra di Judo, l’Asahi mi pare; il Maestro Kawamukai svolgeva però anche una attività commerciale ed il suo padrone, un americano di origine giapponese, era amico del Maestro Tohei, così quando, con l’approvazione del Maestro Tada, Kawamukai richiese un insegnante che potesse affiancarlo mi fu offerto di venire in Italia ed io, che ero allora terzo Dan, venni a Milano.

Subito dopo, si tenne uno stage, forse per Pasqua, non ricordo bene, e conobbi il Maestro Tada al quale chiesi dove sarebbe stato meglio stabilirmi. in sostanza mi disse che se non ce l’avessi fatta economicamente, avrei potuto ripiegare su Roma dove c’era il Dojo Centrale già avviato – il Maestro Tada a quel tempo non risiedeva più stabilmente nella capitale – se invece fossi riuscito a superare le iniziali difficoltà di inserimento, sarebbe stato meglio restare a Milano, sia per la diffusione dell’aikido nell’italia settentrionale, sia per le potenzialità economiche del capoluogo lombardo, tanto Roma aveva già un buon numero di praticanti ed era in grado di cavarsela da sola. E così rimasi qui. »

 Passa ancora qualche anno, ed arriviamo al 1974; dieci anni esatti dall’inizio di questa nostra scorribanda nel passato, dedicata soprattutto, per motivi di “ospitalità” ai grandi maestri giapponesi che hanno accompagnato e guidato con mano la crescita dell’aikido in Italia, in attesa di dedicare una prossima puntata ai protagonisti italiani. Per quanto avesse un buon numero di praticanti, e forse proprio per quello, la Scuola Centrale di Roma aveva bisogno di un insegnante fisso, e di qualità fuori dalla norma…

«[Per diventare Shodan ci misi] un anno e mezzo. C’è una cosa però che può allungare o meno questo tempo: da noi è il Maestro che invita l’allievo a sostenere l’esame. Nessuno di noi si sarebbe sognato di fare il contrario, di andare a chiedere permessi al nostro Sensei. Questo anche se poi solitamente non era lui ad esaminarci. Il che in fondo non è male: è meglio che l’esaminatore sia un estraneo.

 

Il proprio maestro è influenzabile, vive con noi tutti i giorni, conosce i nostri problemi, nutre simpatie ed antipatie, insomma può deviare il suo giudizio per cause estranee a ciò che vede sul tatami al momento dell’esame. Con un esaminatore esterno, invece, non ci sono alternative: egli è imparziale e quindi se non si va si è bocciati. L’esame è anche questo. …  Un mio carissimo amico in Giappone ha uno strano soprannome: tutti lo chiamano Sei Volte. Perché è sei volte che lo bocciano all’esame di Shodan! Ma lui non se la prende: dopo il rito dello «Smetto di fare Aikido!», tranquillo continua il suo allenamento cercando di migliorare per il successivo tentativo.

La prima volta che vidi l’Aikido fu ad una dimostrazione di Kobudo. Per l’Aikido c’era il M° Tanaka di Osaka. La mia impressione fu quella che di solito provano gli spettatori dei nostri Embukai: «E’ tutto falso!». Niente di che quindi. Inoltre i miei interessi erano già indirizzati sul Kenjutsu e sullo Iaido – li praticava mio nonno – ; quella sera l’esibizione del Maestro di Iai fu molto bella; fu eretto al centro della piattaforma un lungo fascio di paglia. Il Maestro, urlando, calò un veloce fendente; la spada attraversò la paglia e giunse in basso, vicino a terra. La paglia rimase per alcuni secondi immobile, come se nulla l’avesse turbata; solo dopo un po’ cadde. Fu una esecuzione perfetta. Ah! sapete quando seppi per la prima volta dell’esistenza dell’Aikido? Avevo quindici anni e trovai una specie di fumetto sulla vita di O Sensei; lo aveva pubblicato un maresciallo quando Ueshiba era militare. Mi ricordo che vi si vedeva O Sensei sollevare un uomo con un dito… Ne rimasi profondamente impressionato! O Sensei poi lo ammirai in azione l’anno successivo alla dimostrazione di Kobudo. [e non era come nel fumetto] Eh! Eh! Eh! Veramente, no!

[Il mio primo giorno di lezione fu con il M°Tada all’Honbu Dojo]: durante la prima lezione il M° Tada mi fece fare tenkan per due ore. Solo questo. E andò avanti così per una settimana, credevo che lui non si ricordasse neppure della mia esistenza. Poi finalmente venne e mi chiese: «Ti sei annoiato? Va bene, cambia pure con questo». E per farmi divertire, come disse lui, mi lasciò altrettanto tempo a fare kaiten. Capito? Neppure irimi tenkan! All’Honbu Dojo a quei tempi l’irimi tenkan non esisteva; O Sensei in verità non ne ha mai parlato. Se il M° Tada mi aveva spiegato qualcosa quando sono venuto in Italia? Cosa mi aspettavo di trovare? …. Lui non mi ha mai detto niente!…»[14])

 

 

Il maestro Tada è una persona estremamente pragmatica, ma non manca di fantasia: in quegli anni approfittava volentieri del desiderio di molti giovani praticanti di talento di uscire dal Giappone e vedere il mondo. E fu così che vennero in Italia i maestri Kano Yamanaka, con base a Firenze, Imazaki Masatoshi, che si stabilì a Milano, e Jun Nomoto che inizialmente si stabilì a Genova per poi sostituire Yamanaka a Firenze al suo rientro in patria,  [15]) al quale lasciamo la parola.

 

 

«E’ stato il Maestro Tada a mandarmi in Italia. In quel periodo a Firenze – stiamo parlando del 1976 – c’era il Maestro Yamanaka, che aveva intenzione di aprire nuovi dojo a Viareggio e Pisa e aveva bisogno di un assistente. Il Maestro Tada però sosteneva che due maestri per Firenze erano troppi. Proprio in quegli stessi mesi, precisamente nel settembre del 1976, il responsabile di Genova chiese un aiuto. Fu così che iniziai ad insegnare a Genova, cosa che feci per un anno, mentre a Firenze insegnai per quasi quattro anni.

 

Mi sono laureato in giurisprudenza, ma la mia vita professionale ha imboccato ben presto strade diverse, divergenti ed impensabili rispetto al mio titolo di studio. Lo so: in molti si domanderanno che cosa ci faccia un avvocato sul tatami. Mi spiego. Se mi fossi fermato in Giappone e non avessi scelto di fare Aikido, sarei restato un semplice impiegato, avrei dovuto aderire ad uno schema predeterminato e preconfezionato, fatto di quotidianità, di orari, di preoccupazioni per la carriera… Oggi so con certezza che me ne sarei pentito.

 

 

Fu proprio la decisione di dedicarmi all’Aikido e di trasferirmi, anche se solo temporaneamente, in Italia che si è rivelata fondamentale per le mie scelte future. Anche perché l’italia mi offriva l’opportunità di praticare ad un certo livello. Il vostro Paese mi comunicò subito, fin da quando misi piede a terra, sensazioni ed impressioni positive, che sono venute via via confermandosi. Dovete sapere che, prima di partire, dell’Italia sapevo solo qualcosa che avevo letto su un libro. Sapevo dire “buongiorno” e “spaghetti”. E proprio “buongiorno” dissi al primo che incontrai a Roma, quando atterrai, una sera di quattordici anni fa. Rispose al mio saluto con apertura e disponibilità. Capii subito che sarebbe stata una bellissima avventura. Ora che mi ricordo, era il sedici di aprile, proprio come oggi.

 

Furono anni di treno e peregrinazioni. Basare il proprio insegnamento solo sulla città di Genova si rivelò subito problematico. Chi sa, forse il carattere ligure si adattava poco al mio. Fatto sta che gli allievi non erano tanti e così presi a percorrere la penisola. Tenevo stages e collaboravo con gli insegnanti alla conduzione delle lezioni. in un certo senso è stata la mia fortuna; ho conosciuto tantissime persone, mi sono innamorato di questo paese, ho conosciuto la gioia dell’amicizia. »

 

[1] Stefano Serpieri, che è stato il primo Segretario Nazionale dell’Aikikai, è purtroppo scomparso nel novembre 2004; aveva il grado di 6° dan ed insegnava presso il dojo Ueshiba Morihei di Roma. L’articolo è stato pubblicato integralmente su Aikido XXXII, autunno 2001, ed è disponibile su www.aikikai.it

 

[2] Non abbiamo al momento notizie recenti di Haru Onoda. La sua ultima apparizione in Italia fu all’inizio degli anni 80, quando effettuò un viaggio della nostalgia presso il Dojo Centrale di Roma, dove aveva anche lasciato tanti cari oggetti che pensava di riprendere molto presto. I casi della vita l’hanno invece tenuta lontana dall’Italia che ha tanto amato.

[3] L’edizione integrale dell’intervista è apparsa originariamente su Aikido, di Kisshomaru Ueshiba, Tokyo, Kowado, 1957, pagine 198-219

 

[4] si tratta probabilmente di André Nocquet, che frequentò l’Hombu Dojo di Tokyo negli anni 1955-57 per poi tornare in Francia.

 

[5] Danilo Chierchini, che fu poi a lungo direttore della Scuola Centrale dell’Aikikai e Presidente dell’Aikikai stesso, ha iniziato judo negli anni 50, diventando anche campione italiano a squadre e seguendo a lungo il maestro Ken Otani. Anche Otani come la signora Onoda, ed ecco spiegato il contatto tra questi due personaggi, si era stabilito a Roma per studiarvi scultura. L’edizione integrale di questo articolo è stata pubblicata su Aikido anno IX, giugno 1980

 

[6] Purtroppo in seguito, nel 1994, il Demanio dello Stato richiese di rientrare in possesso dell’edificio, quindi la Scuola Centrale si trasferì negli attuali locali di via Bari, sempre in Roma

[7] L’attuale redattore di Aikido, Paolo Bottoni, faceva parte di quel gruppo di ragazzi che si affollavano irriverenti e dispettosi intorno al maestro Tada in una calda mattinata dell’aprile 1967. L’articolo è stato pubblicato integralmente su Aikido XVII-1, aprile 1987 nel 20° anniversario della fondazione del Dojo Centrale ed è disponibile su www.dojocentrale.it

[8] Tutte le persone menzionate posseggono attualmente il grado di 6° dan

 

[9] Il maestro Masatomi Ikeda, attualmente 8° dan, tornò in Europa nel 1979 per assumere la Direzione Didattica dell’Aikikai di Svizzera, e da allora non ha mai mancato di tornare regolarmente in Italia e in Campania per continuare la sua opera di insegnamento. L’intervista con il maestro Ikeda è stata pubblicata integralmente in Aikido XX-1,  Marzo 1990

 

[10] Giorgio Veneri, 6° dan e membro della Direzione Didattica dell’Aikikai d’Italia, ne è stato “ambasciatore“ all’estero e ha ricoperto a lungo le cariche di presidente della Federazione Europea di Aikido e della Federazione Internazionale di Aikido, distinguendosi per la sua infaticabile opera di diffusione dell’arte a livello mondiale fino a che un male incurabile lo ha portato via, il 31 marzo 2005.

 

[11] Francesco Lusvardi dopo la sua esperienza nell’Aikikai ha praticato ed insegnato aikido per molti anni presso la FIJLKAM, Federazione Italiana Judo, Lotta, Karate e Arti Marziali. La sua dolorosa scomparsa risale all’ottobre 2004.

 

[12] Dall’archivio dell’Aikikai d’Italia risulta in verità che in precedenza era già stato nominato shodan Claudio Bosello. Giorgio Veneri aveva inoltre dimenticato di menzionare che nella stessa sessione di Venezia passò l’esame di shodan anche Alessandro Peduzzi, di Milano. Gianni Cesaratto attualmente pratica ed insegna presso il dojo Kokyukai di Roma  affiliato all’Associazione Aiko.

 

[13] Il maestro Yoji Fujimoto, attualmente 7° dan, ha sempre insegnato a Milano nel dojo Aikikai Milano; oltre naturalmente che percorrere incessantemente ed instancabilmente tutta l’Italia per tenervi innumerevoli raduni. L’intervista con il maestro Fujimoto è stata pubbilicata su Aikido XXI-1, Maggio 1991.

 

[14] L’avranno capito in molti, sono parole del maestro Hosokawa Hideki, attualmente 7° dan, che per molti anni ha diretto la Scuola Centrale di Roma. L’intervista integrale è stata pubblicata su Aikido XVIII – 1,  Aprile 1988

 

[15] L’intervista a Jun Nomoto è stata pubblicata su Aikido XX – 2, dicembre 1990.

 

  

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