La fatica

 

Eventskarate 27 ottobre 2010

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Di Vincenzo Figuccio (Preparatore Atletico C.S. Carabinieri)

L’esercizio fisico sollecita a mettere in atto tutta una serie di aggiustamenti:

·         metabolici;

·         neuroendocrini;

·         cardiorespiratori;

che ci consentono di far fronte alle aumentate richieste metaboliche imposte dal carico di lavoro. Se l’intensità dell’esercizio fisico è notevole e pari alle nostre capacità massime (intensità massimale) e lo sforzo si protrae nel tempo, tali aggiustamenti diventano progressivamente meno efficienti (fanno “fatica” ad adeguarsi) e l’organismo avverte e mostra i sintomi della  fatica acuta.La fatica acuta è un fenomeno complesso.

Può essere definito come  la “limitazione acuta della prestazione che implica sia un aumento della percezione dello sforzo necessario per sostenere un determinato carico, sia un’incapacità di sostenere l’intensità, la durata ed eventualmente il ritmo imposto”.

La fatica è caratterizzata da due elementi:

·         Calo della prestazione (oggettivo);

·         Aumento della percezione dello sforzo (soggettivo).

L’atleta non riesce più a sostenere un determinato sforzo e avverte che questo è diventato molto più “faticoso” e non è più in grado di sostenerlo.

Saggezza del muscolo

Serie di meccanismi per mezzo dei quali il muscolo affaticato tende ad autoproteggersi limitando le sue prestazioni (cerca di non sovraccaricare le sue fibre, per evitare danni sia macroscopici, cioè clinicamente apprezzabili come stiramenti, strappi, ecc.  che microscopici caratterizzati da lesioni sulle singole fibre).

Cause della fatica acuta:

·         esaurimento delle riserve energetiche [riduzione scorte ATP e CP (fosfocreatina)]  debito “alattacido” se non viene “pagato”  rapidamente (ricostituzione scorte ATP e CP) impedisce al muscolo di continuare a contrarsi.

·         attività sportive di lunga durata:  esaurimento delle scorte di glicogeno e notevole calo dell’efficienza: i muscoli possono continuare a contrarsi facendo ricorso ai grassi.

In casi estremi l’esaurimento delle scorte di glicogeno muscolare ed epatico porta ad un vero e proprio crollo dei valori di glucosio nel sangue (ipoglicemia). La normale ricostituzione delle scorte con l’alimentazione  richiede tempi lunghi superiori alle 36-48 ore, ma può essere abbreviata se si assumono carboidrati alla fine dello sforzo. Gli atleti che praticano discipline in grado di consumare per intero le scorte di glicogeno dovrebbero integrare le riserve durante l’esercizio con maltodestrine o fruttosio già durante lo svolgimento della gara stessa e tale ricostituzione viene accelerata se insieme ai carboidrati è assunta glutammina. Anche nei giorni che precedono la gara l’alimentazione dovrebbe essere preferibilmente con prevalenza di apporto glicidico con alimenti costituiti da zuccheri complessi (cibi ricchi in amido come patate, pane e pasta) in modo da aumentare il contenuto iniziale di glicogeno nei muscoli.

Sono responsabili della sindrome da fatica cronica tra le altre cause anche le alterazioni dell’equilibrio idrico ed elettrolitico (dell’esercizio prolungato) dovute alla perdita con la sudorazione di acqua e in misura minore di elettroliti (sodio, cloro, potassio e magnesio), che sono elementi indispensabili alla contrazione muscolare e al mantenimento dell’integrità delle membrane cellulari. Se l’esercizio viene effettuato in un ambiente eccessivamente caldo la perdita di acqua e sali può divenire drammatica. Un’eccessiva perdita di liquidi determina una riduzione di volume del sangue circolante e aumento di viscosità = “ispissatio sanguinis”. Questi fenomeni costringono il cuore a “faticare” di più per continuare a mantenere un adeguato flusso ai muscoli in attività; inoltre si avrà un’accentuazione della fisiologica riduzione del flusso di sangue ai reni con sofferenza e danno alle cellule renali e la comparsa nelle urine dopo uno sforzo intenso di proteine (albuminuria), cilindri di cellule, globuli rossi in numero limitato (ematuria microscopica) o in gran quantità (ematuria macroscopica). Per gli esercizi di intensità superiore alla soglia anaerobica uno dei meccanismi responsabili della fatica è quello legato al progressivo accumulo di acido lattico. L’acido lattico quando è presente in eccesso, diminuisce il pH dei liquidi intracellulari fino a valori così bassi da interferire con la contrazione muscolare, riducendo inoltre la riserva alcalina cioè il sistema di difesa dell’organismo contro l’acidosi metabolica. Il dolore muscolare è uno dei segnali più caratteristici della fatica acuta e può essere di due tipi: precoce e tardivo.

Dolore muscolare precoce

Insorge durante l’esercizio e tende rapidamente ad attenuarsi e scomparire dopo che lo stesso è stato interrotto. E’ un “campanello d’allarme” che avverte del limite massimo di prestazione tollerabile dai muscoli, quindi è meglio ridurre l’intensità dello sforzo o interromperlo. Tale tipo di dolore è probabilmente indotto dalle modificazioni chimiche che si determinano nelle fibrocellule muscolari (abbassamento del pH, accumulo di radicali liberi dell’ossigeno). Le stesse alterazioni biochimiche sono alla base dei danni strutturali che si verificano nelle medesime fibre muscolari più tardivamente e che sono alla base del dolore muscolare tardivo.

 DOMS o Delayed Onset Muscle Soreness

E’ una sindrome importante e caratteristica. Secondo alcuni autori anche il muscolo cardiaco potrebbe essere colpito da affaticamento (fatica cardiaca); questo fenomeno è stato dimostrato solo negli atleti che si dedicano a gare di lunghissima durata come ultramaratone o triathlon Hawaiano (Ironman = 4 km di nuoto, 180 km di ciclismo e maratona). Il cuore di questi atleti, esaminato subito dopo l’arrivo, mostra un certo grado di riduzione della sua capacità di contrarsi che scompare nei successivi controlli effettuati 24-48 ore dopo. Inoltre nel sangue sono state riscontrate sostanze, come la Troponina T e I cardiache, che si trovano solo in casi di danno miocardico come nell’infarto.

 La fatica cronica (sindrome da overtraining)

Uno degli aspetti più caratteristici dello sport praticato ad altissimo livello è rappresentato dalla difficoltà non solo di primeggiare nelle competizioni, ma anche di mantenere a lungo posizioni di vertice nelle graduatorie nazionali e internazionali. L’enorme aumento di individui capaci di competere ai massimi livelli, la partecipazione agli eventi di talenti provenienti dai Paesi del Terzo Mondo, le grandi incentivazioni economiche, il miglioramento delle attrezzature e dei materiali grazie alle nuove tecnologie sono alcuni dei fattori in grado di spiegare l’accresciuta competitività e con essa la difficoltà di vincere. Questo fenomeno ha avuto numerosi risvolti sul piano pratico, tra questi di interesse medico sportivo è il notevole aumento di volume ed intensità degli allenamenti. E’ assai improbabile che un aumento a dismisura dei carichi lavorativi in allenamento e del numero delle competizioni ufficiali non abbia ripercussioni negative sull’organismo. Nonostante la sindrome da sovrallenamento sia studiata da più autori, uno degli aspetti più controversi è proprio la definizione di sovrallenamento il quale può essere definito come quella condizione nella quale “l’atleta è stressato da allenamenti, competizioni e fattori esterni al punto da andare incontro ad una riduzione delle sue prestazioni che permane anche dopo un appropriato periodo di riposo o di “rigenerazione”.

Distinzione tra:

·         stato di sovrallenamento vero e proprio  “overtraining”;

·         eccessivo affaticamento  “overreaching”.

Quest’ultimo è molto più frequente del primo ed è caratterizzato da un calo della prestazione dopo esposizione acuta ad un carico eccessivo ma, a differenza del primo, è sufficiente un periodo di riposo di qualche giorno per ritornare alla normalità. Le questioni aperte sono:

1. Di che entità debba essere la diminuzione della prestazione per essere considerata significativa e quanto debba durare tale riduzione per parlare di ovetraining o di overreaching.

2. La maggior parte degli studiosi ritiene che per uscire da questa condizione non bastino pochi giorni di riposo, ma sia necessario un periodo lungo di settimane o mesi.

3. Se il sovrallenamento colpisca oltre agli atleti di resistenza come i maratoneti anche atleti dediti ad altri tipi di discipline come il calcio, il tennis o il basket.

4. Quanto giochino oltre ad un’errata programmazione dell’allenamento e delle gare, anche i fattori esterni (pressione psicologica, infezioni, traumi, cambiamenti di fuso orario e clima) molto importanti nelle competizioni ad alto livello.

Diagnosi di fatica cronica

E’ importante per un allenatore riconoscere un atleta affetto da tale sindrome, occorre riconoscere i sintomi prima che la condizione divenga seria e costringa l’atleta ad interrompere le sue prestazioni per lungo tempo.

Oltre al calo evidente delle prestazioni, un primo indizio è dato dalla comparsa di sintomi che indicano uno stato di malessere generale.

L’atleta lamenta frequenti cambiamenti d’umore, disturbi del sonno, mancanza di appetito, perdita di peso;

Diventa svogliato, apatico, disattento durante l’allenamento;

Gli allenamenti vengono svolti con sempre maggiore  “fatica”;

Spesso dopo gli allenamenti o le gare residua una fastidiosa dolenzia dei muscoli (dolore muscolare tardivo o DOMS).Prima conferma dei sospetti da un’attenta analisi del comportamento della Pressione arteriosa (PA) e della frequenza cardiaca (FC) a riposo, durante e dopo lo sforzo;

Da semplici misure metaboliche  come la misura della concentrazione di acido lattico nel sangue in risposta ad esercizi di intensità massimale e sottomassimale.

Le alterazioni della PA e della FC dipendono in gran misura da uno squilibrio del sistema nervoso autonomo o neurovegetativo.

Ipotesi di due tipi di sindrome da sovrallenamento: simpatica e parasimpatica

·         Gli atleti di potenza sindrome di tipo simpatico

·         Atleti di resistenza sindrome di tipo parasimpatico

Differenti tipi di sovrallenamento

Tipo Simpatico:

·         Calo del desiderio di allenarsi;

·         Irritabilità;

·         Insonnia;

·         Calo di appetito;

·         Perdita di peso;

·         Aumento della frequenza cardiaca (FC) e della pressione arteriosa (PA) a riposo;

·         Lento ritorno della FC ai valori di base massimale.

Tipo Parasimpatico:

·         Astenia, apatia, abulia;

·         Diminuzione della FC a riposo e delle FC massima da sforzo;

·         Diminuiti livelli di lattatemia dopo esercizio massimale.

Tuttavia non è raro trovare nello stesso atleta contemporaneamente o in tempi successivi le due sindromi. A riposo l’atleta sovrallenato può mostrare una FC più alta o molto più bassa della sua “basale”.

Durante lo sforzo, la FC appare più elevata rispetto alla norma per intensità di lavoro sottomassimali e al contrario non raggiunge i valori massimi per sforzi massimali. Analogamente, nonostante un impegno strenuo, i valori massimi di acido lattico prodotti nel corso di un esercizio condotto sopra la soglia anaerobica appaiono nettamente inferiori a quelli abituali.

Metodi più sofisticati per valutare le alterazioni del SNA:

·         Analisi della variabilità della FC;

·         Determinazione della concentrazione nelle urine di catecolamine (adrenalina e noradrenalina).

Le alterazioni del sistema endocrino:

·         Concentrazione ematica di cortisolo considerato l’ormone dello stress (quando aumentato favorisce il deterioramento delle cellule muscolari = catabolismo);

·         Concentrazione ematica di testosterone, ormone fisiologicamente deputato alla “costruzione ricostruzione” del muscolo (anabolico).

Le alterazioni del sistema immunitario:

·         Calo delle difese immunitarie in condizioni di stress (riduzione anticorpi circolanti e ridotta capacità immunitaria delle cellule competenti come macrofagi, neutrofili e linfociti);

·         Aumento delle suscettibilità alle infezioni virali e batteriche;

·         Circolo vizioso, infezione, sovrallenamento, infezione.

Secondo alcuni studiosi uno dei fattori responsabili sarebbe il ridotto livello di glutammina, aminoacido chiave del sistema immunitario, la sua riduzione priverebbe le cellule di una sostanza essenziale ai fini energetici e della sintesi delle proteine strutturali che la compongono.

Tutto ciò è rischioso se non si rispettano i dovuti tempi di riposo: rischio di miocarditi, aritmie secondarie (morte improvvisa da sport).

Elementi utili per la diagnosi della sindrome da fatica cronica (sovrallenamento) clinici e di laboratorio

·         Diminuita capacità di prestazione fisica;

·         Ridotta tolleranza ai carichi di allenamento;

·         Perdita di coordinazione, diminuita efficienza dei movimenti, errori tecnici;

·         Frequente insorgenza di dolore muscolare (specie tardivo);

·         Aumentata frequenza di infezioni e infortuni (specie muscolari);

·         Aumento nel sangue del Cortisolo (C), riduzione del Testosterone totale e libero (T), riduzione del rapporto C/T;

·         Riduzione dell’escrezione urinaria basale (notturna) delle catecolamine;

·         Riduzione del rapporto dei linfociti T4/T8;

·         Riduzione nel sangue del livello di glutammina;

·         Riduzione nel sangue dei livelli di emoglobine e/o feritina (aspecifico).

Indici strumentali o di laboratorio:

·         Rapporto testosterone (totale o libero)/cortisolo;

·         Livello di catecolamine urinarie in condizioni basali (calcolato sulle urine della notte);

·         Rapporto linfociti T4/T8;

·         Concentrazione nel sangue di glutammina;

·         Concentrazione ematica di ferritina.

Tuttavia nessuno di questi indici può essere considerato valido in modo assoluto, in ogni circostanza e per ogni atleta. Per fare diagnosi di “Sindrome da sovrallenamento” occorre la constatazione di un calo ingiustificato e persistente delle prestazioni del soggetto e un’analisi critica di tutti gli elementi a disposizione:

·         Soggettivi = i sintomi lamentati dall’atleta;

·         Oggettivi =  le alterazioni rivelate a carico dei vari organi e apparati.

La diagnosi deve essere fatta il più precocemente possibile per evitare errori nella programmazione degli allenamenti e delle gare, nonché per somministrare un adeguato periodo di riposo.

 

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