Dedicato a Paolo Ciotoli, mio Maestro di Karate

26 giugno 2012 di Maurizio Baiata

Traggo questo brano dal primo capitolo del mio libro “Gli alieni mi hanno salvato la vita”. Di lui parlo anche in altri passaggi, ma questo inizio del mio viaggio doveva essere dedicato al mio maestro di Karate, Paolo Ciotoli, oggi sesto dan nello stile Wado Ryu. A lui devo l’apprendimento di quelle regole immutabili nel tempo che sono il rispetto per gli altri, la ricerca della Via della Pace attraverso il sacrificio e la perseveranza, la ripetizione ossessiva di una tecnica che diviene parte integrante di te, come un mantra che affonda nelle tue viscere ed esplode all’esterno, nella quiete dell’armonia unversale. La durezza degli allenamenti è nel ricordo indelebile. La gioia della sensazione incredibile di far parte per sempre di quel mondo, sul tatami del KIAI, il dojo di Paolo Ciotoli sulla via Tiburtina, a Roma, che oggi non esiste più. È un edificio dismesso e diroccato, ma lì ho vissuto i momenti più belli della mia vita. Oss, Maestro!

Decisi allora che il Karate era la mia via. L’esempio di un amico di destra (io no) e cintura nera fu importante. Mi spiegò che non si diventava come Bruce Lee e che mi sarebbe costato molti sacrifici, ma la mia situazione psicologica ancora piuttosto scossa e il forte desiderio di apprendere un’arte marziale mi avrebbero aiutato ad affrontare meglio anche la vita di tutti i giorni. Non certo per menare le mani, ero allora e sono tuttora un pacifista. Il Karate mi prese nel profondo. I contatti, sia al viso sia in ogni altra parte del corpo, erano continui. Avevo paura che il ricevere colpi all’addome potesse causare problemi allo stomaco e ci andavo cauto. Invece, i colpi arrivavano e gli addominali reggevano bene. Mi ero ristabilito dall’incidente e l’operazione aveva avuto effetti positivi, avevo perso una decina di chili, mi sentivo in forma e andavo di nuovo in motocicletta. Scrivevo per Ciao 2001. La redazione e soprattutto il direttore, Saverio Rotondi, mi tenevano in considerazione. Erano i tempi dei grandi concerti. Degli sfondamenti delle transenne fuori dai palasport e delle battaglie all’università. Esistevano i “collettivi” e la musica si diceva non si pagava. Scrivevo, scrivevo e gli articoli portavano anche qualche soddisfazione economica, pagati 40.000 lire l’uno, un paio di recensioni e un pezzo a settimana rappresentavano un gruzzoletto che peraltro dissipavo continuamente comprando dischi di importazione alla discoteca “Città 2000” di Viale Parioli e da Consorti. Insomma cercavo di sostentarmi come giornalista musicale. Le grosse case discografiche mi rifornivano in continuazione. La musica che mi interessava era psichedelica. Volevo scoprire, attraverso la Musica, come arrivare alle porte del cosmo. Non capivo che alle porte del cosmo ero già arrivato durante il coma, sia nella prima fase di NDE (Near Death Experience, esperienza di pre-morte) durante la notte del ricovero in ospedale, sia nella seconda di OBE (Out of Body Experience, esperienza fuori dal corpo) e vivendo la successiva in “astrale” al mio risveglio. La ragione per la quale non me ne rendevo conto e non me ne sarei reso conto per altri vent’anni fu che l’intera esperienza dell’incidente era stata cancellata, insieme alla sindrome post traumatica, dalla mia memoria cosciente.

Non ne ricordavo assolutamente nulla e quindi non ne avevo mai parlato con nessuno, parenti o amici, nonostante spendessimo lunghe ore a conversare, ad ascoltare musica e a sperimentare con l’aiuto di derivati dalla cannabis, mai droghe pesanti, sia ben chiaro. Inoltre, praticavo Karate agonistico e il mio Maestro, Paolo Ciotoli (che adoro come un padre ancora oggi) ci voleva vigili e pronti a lottare per il bene della nostra squadra, il KIAI di Roma, fortissima e fra le prime in Italia. Ciotoli basava nostri intensissimi allenamenti sulle tecniche tradizionali del Karate stile Wado Ryu, eseguivamo i kata (forme di combattimento figurato contro avversari immaginari) cercando la concentrazione e la distensione dell’energia, il segreto del Ki (Chi in Cinese), la forza interiore alla base del Karate. Inoltre, con il saluto cerimoniale all’inizio e alla fine di ogni allenamento restavamo a lungo in ginocchio, una forma di meditazione Zazen, con la quale ottenere il vuoto mentale. Se tutto questo non era bastato a riportare alla luce il mio viaggio verso la Morte/Vita doveva esserci una ragione.
Ora so qual è questa ragione. Ora ho quasi 60 anni, vivo negli Stati Uniti, a Phoenix, in Arizona. E da oltre 20 anni studio il fenomeno UFO in tutte le sue sfaccettature. Scrivo e scrivo, ancora. E solo pochi mesi fa ho realizzato che tutto avvenne per colpa di Aqualung – che per la cronaca non fu recuperato dopo l’incidente – ma anche, probabilmente, della mia avventatezza. Con troppa foga mi ero slanciato nel mezzo della strada e quel Maggiolino guidato da un pregiudicato che sarebbe stato ucciso in uno scontro a fuoco con dei finanzieri nella zona di Ardea alcuni anni dopo, era la macchina che avrebbe cambiato per sempre il mio destino. È l’amore che provi, che uguaglia il dolore che ti attraversa dentro, nella vita di ogni giorno a farti andare avanti. E intanto Altri osservano. Vengono da lontano, scavano nel profondo della tua psiche, invisibili. Non sai chi siano, continuerai a non saperlo, sin quando gli occhi ti si schiuderanno alla realtà della Quarta Dimensione.

Tratto da “Gli alieni mi hanno salvato la vita”

 

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