Atemi

Eventskarate 13 giugno 2020

Ciro Varone

Nelle karate per fare in modo che gli attacchi e le difese possano realmente essere efficaci è indispensabile perfezionare le tecniche di Atemi che per essere tali devono essere indirizzate ai punti neurologici del corpo umano.

 

Con l’avvento delle gare la conoscenza e l’importanza dei punti vitali è andata mano a mano sparendo, anzi, in una gara di karate “essere eccessivamente efficace” è controproducente se non del tutto inutile, pena la squalifica.

Un tempo lo studio dei punti vitali non era un’arte separata dalla pratica marziale, anzi, l’arte marziale insegnava attraverso le applicazioni dei kata una precisa ricerca e pratica dei punti di Kyusho, metodo che prevedeva lo studio approfondito dei punti neurologici, dei shichen (12 dodici meridiani del corpo che corrispondono alle dodici divisioni bi-orarie del giorno, che prendono il nome dei dodici animali dello zodiaco cinese), queste conoscenze che gli antichi maestri di karate okinawesi avevano appreso a loro volta attraverso i loro maestri e allo studio del Bubishi (testo della Boxe della Gru Bianca), venivano gelosamente custodite da ogni caposcuola e trasmesse solo a pochi eletti deputati a diventare i futuri Soke (capiscuola).

Naturalmente non bisogna credere che tutto quello che viene proposto come kyusho e/o Dim-mak funzioni: vi sono dei punti che alcuni soggetti sentono più di altri e vi sono punti che in un combattimento tra striker sono improbabili o quasi impossibili da colpire, per cui alcune tecniche potrebbero risultare del tutto inefficaci.

Cosa diversa è per quei punti come: gola, occhi, genitali, perineo, midollo allungato, tempie e mandibola, in tal caso i colpi portati su queste zone del corpo creano quasi sempre un shock immediato o addirittura la morte.

La parola Atemi deriva dall’unione di due frasi: Ateru (stimare un punto esatto ) e Mi (corpo), poiché la maggior parte dei punti invalidanti e mortali si trovano su tale linea, dalla testa ai genitali, molte tecniche di Atemi sono portate sulla linea centrale del corpo sia anteriormente che posteriormente, è dimostrato che i colpi che raggiungono tali punti possono provocare shock neurologico o addirittura la morte.

Il maestro di karate Motobu, che nel suo stile Motobu ryu-karate fece dell’efficacia la sua bandiera, raccomandava e indicava chiaramente alcune tecniche di combattimento e colpi neurologici derivati dallo studio del Bubishi, applicati realmente da lui stesso nei suoi innumerevoli combattimenti reali contro diversi avversari che egli usava sfidare per provare l’efficacia delle sue tecniche di karate.

Alcuni quan (in giapponese kata) basati sulla sollecitazione dei meridiani, oltre che essere utili per rinforzare ed equilibrare il ki e mantenere la salute della persona, furono concepiti come metodi rituali per apprendere, allenare e trasmettere tecniche segrete di autodifesa, abilità che, in casi gravissimi, potevano decidere la vita o la morte della persona.

Gli antichi bunkai interni ai kata ortodossi erano di immediata applicazione e ricchi di prese, torsioni, controlli e soffocamenti, tali fondamentali di lotta non sono nati per essere applicati alle moderne tecniche di kumite shiai, per tale ragione chiunque tenti di accostare i bunkai antichi dei kata alle tecniche d’attacco moderne incontra non pochi problemi tattici -strategici, in tal modo i bunkai si trasformano in veri e propri Embu (applicazioni marziali concordate), distorcendo e disperdendo il “valore reale” dell’efficacia dei kata nella difesa personale.

 

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