Sport: saper giocare richiede “cervello”

 Eventskarate 22 marzo 2010

 Di G.G.

 Nel calcio, così come nel basket o nel rugby, la bravura di un difensore sta nel non farsi ingannare dalle finte dell’attaccante e riuscire a indovinare le sue mosse ancor prima che esso le compia.

Tutto questo, secondo una recente ricerca apparsa sulla rivista NeuroReport, sarebbe da ricondurre all’attività di precisa area del cervello, che può essere anche sviluppata con il tempo.La bravura di un buon giocatore è legata all’abilità e all’esperienza,

afferma l’autore dello studio Michael Wright della Brunel University. Tuttavia, mentre la prima dote sembra essere del tutto innata, la seconda può essere coltivata nel tempo e comporta un aumento dell’attività della corteccia

cerebrale legata all’osservazione dei movimenti e alla preparazione all’azione.Nel loro studio condotto su un gruppo di giocatori di badminton dilettanti o professionisti, i ricercatori hanno invitato i soggetti a visionare una videoclip in cui un giocatore di badminton effettuava una “schiacciata” con il volano, dopodiché i volontari dovevano riuscire a indovinare in quale parte del campo il volano cadesse a terra.Analizzando l’attività cerebrale di tutti i soggetti, i ricercatori hanno dimostrato che i giocatori professionisti tendevano ad avere un’attività del cervello aumentata in una particolare regione del cervello. Secondo gli autori, l’esperienza di molti anni di gioco potrebbe accrescere ancor di più la risposta immediata di questa parte dell’encefalo e ciò spiegherebbe la ragione per cui i giocatori più esperti e anziani tenderebbero ad avere doti migliori dei giocatori più giovani, nonostante la minor di velocità di riflessi.

Fonte: Wright et al. Functional MRI reveals expert-novice differences during sport-related anticipation. Neuroreport 2010; 21(2):94. DOI: 10.1097/WNR.0b013e328333dff2

Internet, impossibile farne a meno?

Inizialmente Internet promette (e illude) di compensare e tamponare molte problematiche: un esempio è la possibilità di instaurare relazioni velocemente e senza coinvolgimento emotivo. La Rete, così ricca di opportunità di informarsi e di conoscere, riesce così a ingannare e imbrigliare. Al di là delle diverse componenti che possono contribuire a originare i diversi casi di rete-dipendenza, la caratteristica costante che fa da sfondo ad ogni dipendenza da internet è la capacità della rete di rispondere a molti bisogni umani: infatti, annulla lo spazio e consente ciò che nella realtà non si può realizzare o che si può fare in molto tempo, viaggiando per ore e

interagendo più lentamente, spesso a due o in piccoli gruppi.Le chat, invece, abbattono le frontiere e consentono di parlare con gruppi numerosi in “stanze” che la realtà difficilmente rende disponibili, consentendo spesso discorsi paralleli, solo virtualmente possibili. Inoltre, le community più stabili creano una sensazione di appartenenza, rispondendo ad un grande bisogno umano e consentendo di esercitare l’allenamento ai ruoli e alle interazioni senza la responsabilità di scelte e vincoli definitivi.

Nelle stanze virtuali si può inoltre sperimentare la propria identità in tutte le sue sfumature, cambiando l’età, la professione e perfino il sesso di appartenenza, ascoltando le reazioni degli altri e maturando delle convinzioni, attraverso il confronto con altre personalità più o meno reali.

Quali i rischi?

I rischi sono quelli legati ad ogni situazione che consenta di far emergere e di soddisfare i bisogni più profondi e inconsapevoli: si sperimentano parti di sé che potrebbero sfuggire al controllo, soprattutto quando si dispone di uno strumento di comunicazione che consente di rimanere uomini e donne senza volto, una condizione che potenzialmente può favorire la comparsa di comportamenti troppo disinibiti.

Per i più giovani in età di sviluppo e per alcuni soggetti predisposti, il rischio è che l’abuso della rete per comunicare crei confusione nella distinzione tra reale e virtuale.

In considerazione di ciò è di fondamentale importanza che bambini e i ragazzi limitino il tempo trascorso su Internet e integrino le esperienze di comunicazione reale, al fine di evitare di sviluppare delle abilità emotive e sociali prevalentemente attraverso questo strumento tecnologico che, in questo caso, risulterebbero estremamente limitate o deformate rispetto a quelle poi richieste per adattarsi nella vita reale.

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