Il senegalese arbitro di karate a Venezia
Ibrahim Thiam è l’unico arbitro nero in Italia. Insegna in una palestra di Noale e per vivere lavora nella cucina di uno dei più importanti alberghi della Laguna

eventskarate 20 febbraio 2007

di Andrea Gagliardi


 

(ASI) – VENEZIA – E’ stato campione d’Africa di karate. In Italia è l’unico arbitro nero di questa disciplina, dopo che un altro arbitro marocchino ha preso la cittadinanza italiana. Ibrahim Thiam, 55 anni, senegalese, originario di Kaolack, laureato in agronomia, vive a Venezia ed è in Italia dal 2001. “Ho iniziato a praticare il karate nel 1972 – racconta a Stranieriinitalia.it – in Senegal ero insegnante e arbitro. Ed è proprio arbitrando che sono entrato in contatto con i dirigenti della federazione italiana”.

La decisione di venire in Italia nasce dal desiderio di continuare ad allenarsi in un ambiente molto qualificato, rinomato soprattutto per i metodi all’avanguardia nell’insegnamento del karate ai bambini. Ibrahim Thiam, quinto “dan”, insegna da sei anni in una palestra di Noale alle cinture marroni e nere. Ma il suo titolo ufficiale è quello di arbitro federale.

“Ho lavorato subito in Italia in questo settore, a cominciare dagli Open d’Italia del 2001, la più grande competizione internazionale a livello agonistico, che si svolge ogni anno in Lombardia. Con il mio titolo posso arbitrare anche gli incontri a livello regionale. E infatti mi capita spesso la domenica di essere mandato in giro dalla federazione veneta”.

Il lavoro di arbitro viaggia parallelo a quello di lavapiatti nel più importante albergo di Venezia, l’hotel Danieli. “Mi pagano bene – racconta – ma gli inizi sono stati difficili. Ero ospite da un cugino e mi arrangiavo con lavoretti di volantinaggio. Ho fatto anche le pulizie in occasione della Biennale di Venezia qualche anno fa. Ora mi sono stabilizzato al Danieli. E ho abbastanza tempo libero per dedicarmi all’insegnamento e all’arbitraggio, che sono le due cose che amo di più”.

Ibrahim vive in affitto a Venezia con un gruppo di connazionali. L’obiettivo è di continuare a lavorare altri 10 anni, fino alla pensione. Nel frattempo dovrebbe raggiungerlo in Italia anche la moglie. “Ma prima di lei verrà mio figlio più piccolo di 16 anni. Gli altri tre vogliono restare in Senegal”.

 

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