IL KARATEGI
Eventskarate 19 dicembre 2013
Fonte: www.unionescuolekaratewadoryu.it
F. Comparelli
Perché nel karate si indossa il karategi? Al di là di tutte le speculazione mistiche a riguardo, la realtà sembra essere molto più prosaica, e tuttavia se possibile anche più affascinante e più interessante per lo studio della mentalità giapponese
(perché si parla ovviamente di karate giapponese: il toudi okinawense non prevedeva, almeno fino alla metà del XX secolo, né un luogo né una divisa standardizzata per la pratica). Il termine generico per indicare una divisa da allenamento è keikogi (keiko significa ‘pratica, allenamento’, mentre gi – pronuncia ghi non gi – è la pronuncia, quando suffisso, del kanji ki, lo stesso con cui inizia la parola kimono e significa semplicemente ‘abito’). Ad aver inventato il primo keikogi moderno è stato, tra le altre cose, Jigoro Kano (1860-1938), che pare abbia tratto ispirazioni dai cappotti pesanti dei pompieri giapponesi, i quali a loro volta avevano sfruttato la giacca in canapa degli Yakko, gli antichi valletti o servitori dei daimyo. Secondo i diari del Kodokan, pare che Kano abbia inventato il keikogi per questioni di ‘dignità e sicurezza’. In effetti, in precedenza, la pratica ordinaria era svolta in quelli che noi potremmo definire calzoncini, molto simili alla biancheria intima. La foto di un giovanissimo Jigoro Kano (all’epoca diciassettenne), lo ritrae in una posa che vorrebbe essere ‘guerriera’, con indosso una camicia senza maniche e a gambe nude. Circa vent’anni dopo, agli inizi del 1900, Kano ed altri allievi del Kodokan sono ritratti con uwagi (le giacche del keikogi), in tutto simili alle giacche dei pompieri. La divisa d’allenamento di Jigoro Kano è conservata come una reliquia: è del tutto simile alla divisa attuale, tranne le maniche e i calzoni più corti. Fu probabilmente il fatto che gomiti e ginocchia si infortunavano spessissimo (si ‘bruciavano’) durante l’allenamento, che Kano decise di allungare le maniche e la lunghezza della giacca. Nel 1920, la divisa era ormai quella attuale: una trasformazione dovuta dunque più a motivi pratici che estetici. Quando Funakoshi arrivò in Giappone adottò immediatamente il keikogi dello judo (gli fu suggerito da Kano stesso nel 1922), anche se nel 1926 Motobu Choki pubblicò un libro in cui mostrava le tecniche a torso nudo, con calzoni corti e una cintura nera intorno ai fianchi. L’inserimento dei pantaloni nella pratica fu invece un’innovazione per noi difficilmente concepibile. Il Giappone era appena uscito dall’era feudale, le antiche arti (koryu) erano in viste con scherno, e Kano, uomo coltissimo e intelligentissimo, nonché molto attento ai cambiamenti e alla ‘moda’ del momento, colse la possibilità di una novità mai prima vista nel mondo delle arti marziali: l’utilizzo dei pantaloni alla ‘occidentale’. Una pratica come quella del judo, ma anche quella del karate, era inoltre impensabile con la hakama tradizionale. Perché il keikogi è bianco? Non esiste, anche in questo caso, alcuna motivazione filosofica. Bianco perché bianco è il materiale con cui è fatto, il cotone. E la cintura? Anche il sistema di cinture è una invenzione rivoluzionaria di Kano. Dapprima infatt il sistema di cinture non esisteva (tantomeno nel toudi okinawense, in cui per essere riconosciuto maestro era sufficiente la ‘fama’ riconosciuta). Nel 1883 Kano decise di separare gli studenti del Kodokan in due gruppi: gli anziani e i novizi: yudansha e mudansha. I primi due yudansha della storia del Kodokan furono due nomi leggendari: Tsunejiro Tomita e Shiro Saigo. Il primo fu protagonista di fortunate dimostrazioni negli USA, il secondo fu invece talmente famoso da diventare protagonista di film di Akira Kurosawa: Sugata Sanshiro. L’introduzione di una divisione tra cinture bianche e cinture nere fu una sorta di rivoluzione perché prima del sistema ‘a cinture’ e ‘gradi’, il livello di un praticante era testimoniato dal menkyo o ‘licenza’, e il maestro di un’arte generalmente ne concedeva pochissimi, spessissimo unicamente all’interno della propria famiglia. Molte scuole, antiche e non, funzionano ancora così. Kano, che conosceva bene anche i sistemi pedagogici occidentali, era ben conscio dell’importanza di sottolineare i progressi di uno studente in qualche modo (esattamente come si fa a scuola): nacque così il sistema dei kyu (livelli inferiori) e dei dan (gradi superiori). Inoltre, il sistema kyu-dan non era ignoto in Giappone, anzi era già usato nell’ikebana e nel gioco del go almeno fin dal XVI secolo. Tuttavia ‘colori’ delle cinture non nacquero subito. Accade non prima del 1896, in occasione di una sfida tra gli studenti del Kodokan e quelli dello Yoshin Ryu Jujitsu vinta dal Kodokan. Gli studenti di Kano aumentarono così tanto che l’idea di evidenziare le differenza di anzianità, e quindi di abilità, tra i praticanti divenne urgente e sicuramente più pratica. Le prime cinture erano quelle di seta, come quelle dei kimono, la cintura di cotone venne introdotta nel 1907. Pare che i colori delle cinture per i kyu sia stata un’introduzione del judoka Mikonosuke Kawaishi, che studiò al Kodokan e poi viaggiò negli USA, In Inghilterra e in Francia. Le innovazioni furono introdotte per permettere una maggiore diffusione e chiarezza anche per i non-giapponesi. Questa innovazione piacque, e divenne un modello esportato in tutto il mondo. Non c’è alcuna traccia che indichi che i colori delle cinture abbiano una valenza filosofica. La cintura bianco-rossa, invece, richiama senz’altro i colori della bandiera giapponese ed è stata introdotta da Kano per i gradi di VI, VII e VIII dan, mentre IX e X indossano una cintura tutta rossa. Per l’XI dan, visto che nessuno lo ha mai ottenuto, non c’è regola, il XII dan, ottenuto solo da Kano post mortem, è indicato da una cintura bianca spessa il doppio rispetto a quella normale. Il karate ha, dunque, ereditato il suo sistema di cinture interamente dallo judo, soprattutto per via dell’altissima considerazione in cui era tenuto il fondatore dell’arte della cedevolezza, Jigoro Kano.