2008: ULTIMO Stage JKA IN COMUNE con I MAESTRI Ochi, Shirai e Naito aL CENTRO SAINI DI Milano

I magnifici tre

di Sergio Roedner

L’ho saputo in ritardo e per vie traverse, ma non potevo mancare: uno stage della Jka Italia a Milano! Mi sono detto che non poteva essere più duro di un’ora di lezione col

M° Fugazza, e poi la mia “fonte” parlava di un illustre ospite, senza però precisarne l’identità. Domenica 6 luglio mi sono svegliato per tempo e sono sfrecciato in moto al Centro Saini, pieno di sacro entusiasmo. L’orario che mi era stato indicato era peraltro sbagliato e di conseguenza alle 9 e 20, quando sono entrato in palestra credendo di essere in anticipo, l’allenamento era già cominciato.

I praticanti erano stati divisi in tre gruppi di livello e senza badare a chi insegnava agli altri gradi mi sono subito infilato alla chetichella tra le schiere dei “vecchi”, sotto gli occhi vigili del Maestro Shirai. Non lo vedevo da un paio di mesi e l’ho trovato in gran forma fisica e morale, sprizzante energia da tutti i pori (l’aria della Sardegna deve fargli molto bene!). Devo dire che mi ha stupito non poco vedergli insegnare e praticare le eterne tecniche di kumite, lineari ma efficaci, dello Shotokan: kizamizuki gyakuzuki, maegeri, difesa e contrattacco. È stato un tuffo nel passato, ma dopotutto non era uno stage della JKA? Quindi un kumite per linee diritte, basato sulla velocità e la potenza, proprio come piace a me e non solo a me.

La seconda parte dell’ora ci ha riportati al presente e a quei bunkai ai quali il Maestro ha dedicato tanto studio e attenzione in questi ultimi anni. In questo caso si trattava dell’applicazione di Tekki sandan, che comporta la necessità di piccoli spostamenti in kibadachi o fudodachi e l’impiego di entrambe le braccia per parare e contrattaccare. Anche qui due anni sotto la guida paziente del M° Fugazza hanno in parte ridotto il mio analfabetismo e quindi non sono stato di eccessivo impaccio ai miei cortesi compagni di allenamenti. Alle dieci e dieci la prima sosta, durante alla quale ho individuato, in attesa davanti a noi, un ometto calvo e apparentemente fragile dai tratti orientali, con una barbetta lunga e sottile simile a quelle dei maestri di kung-fu dei film di Hong Kong, e un non so che di ascetico nella figura e nell’atteggiamento. Grazie a delle fotografie viste di recente ho riconosciuto in lui il Maestro Hideo Ochi. Per i lettori più giovani che non lo conoscessero, Ochi è 8° Dan JKA, campione giapponese di kumite nel 1966 e 1967 e campione di kata nel 1966, nel 1969 e nel 1976. Ochi è stato inoltre Grand Champion (titolo attribuito a chi si piazza i primi tre posti in entrambe le gare) per ben tre volte: nel 1966, 1967 e 1969. Dal 1970 Il M°Ochi insegna in Germania, dov’è subentrato a Kanazawa, e lì ha formato grandi campioni che si sono scontrati negli ultimi tre decenni abbondanti con gli allievi del M° Shirai: mi limiterò a citare Haendel (non il musicista, anche se…le ha suonate a molti!), Willrodt, Rebbmann e Dietl nel kumite, Birgit Schweiberer nel kata.

Gli anni passati hanno addolcito molto il M° Ochi che, ieratico e sorridente, dopo aver investito un po’ di tempo a far disporre i praticanti su sei file perfettamente allineate, li ha poi confusi del tutto facendo tirare zuki in varie direzioni, alternando spiegazioni in inglese a frasi in ottimo italiano, correggendo tutti senza mai venir meno al suo buon umore. Lo stesso esercizio è stato fatto poi svolgere ad occhi chiusi, non senza un certo disorientamento generale. Nella seconda parte della lezione si è capito il perché delle sei file perfettamente allineate: è bastate farne girare tre per trovarsi in coppia, io con una gentile signora, accanto a me il M° Guizzetti (della mia stessa stazza) con un’altra rappresentante del gentil sesso. È in queste circostanze che si coglie l’attenzione del docente: al M° Ochi è bastata un’occhiata per suggerire uno scambio di partner. In coppia dunque abbiamo allenato kizamizuki gyakuzuki (un piatto sulla tavola di qualunque praticante Shotokan che si rispetti!), maegeri e mawashigeri con la gamba davanti: l’essenziale per chi voglia fare kumite. Poi si è tornati al kihon, ma anche qui non c’è stato niente di scontato: le tecniche dovevano essere portate in rotazione, e prima del contrattacco di zuki il Maestro ha fatto inserire tecniche di calcio con la gamba anteriore e posteriore. Qui ha cominciato ad affiorare in qualcuno di noi la fatica ma Ochi con un dolce sorriso ci ha invitati a perseverare: come resistere a quel sorriso e a quel suo instancabile andirivieni tra le nostre file per suggerire e correggere, sempre con le buone maniere (cosa non comune tra i maestri di karate, non solo nipponici)?

La terza e ultima ora l’abbiamo passata con il Maestro Naito che, avendo individuato delle debolezze nelle nostre performance precedenti, ha lavorato molto sull’uso della vibrazione delle anche e sulla giusta alternanza di contrazione e scioltezza nell’esecuzione di tecniche ripetute di parata con lo stesso braccio, come avviene ad esempio nel kata Tekki sandan. Se ricordo bene, la sequenza proposta era, da kibadachi: gedanbarai sotouke uchiuke, ageuke sotouke uchiuke gedanbarai urakenuchi (stesso braccio) e poi finalmente (che liberazione!) gyakuzuki con l’altro braccio. Lo stesso esercizio è stato poi fatto eseguire con entrambe le braccia, variante che per qualche motivo ho trovato più facile. La difficoltà maggiore è stata cercare di evitare l’indurimento eccessivo che rallenta le tecniche: chi ricorda la fulminea velocità e la tremenda efficacia del Tekki sandan dell’indimenticabile M° Kase ha presente il traguardo ideale da perseguire.

Il M° Naito ha concluso la sua ora di lezione soffermandosi su alcuni passaggi difficili di Bassai dai e Nijushiho, chiarendo le ragioni applicative che rendono giusta o sbagliata una modalità di esecuzione della tecnica: ad esempio nel sesto passaggio di Bassai dai, dopo gedan uchiudeuke (per intenderci, quella specie di gedanbarai eseguito con l’interno dell’avambraccio) non si deve portare subito il braccio destro in caricamento del successivo sotouke perché il significato è quello di spazzare la gamba dell’avversario e quindi il braccio deve completare la traiettoria fino a posizionarsi teso in posizione orizzontale prima di iniziare il movimento successivo.

Lo dico con sincerità: tre ore di allenamento sono volate, anche a causa dell’alternarsi dei docenti e delle proposte di lavoro presentate agli stagers. Se l’iniziativa fosse state pubblicizzata tramite i consueti canali federali invece che col passaparola, la palestra 3 del Saini non ci avrebbe contenuti tutti, segno evidente che la voglia di unità e di karate tradizionale non si è spenta tra i praticanti: lo dimostrano anche le migliaia di accessi al canale Shotokan di Youtube che l’autore di queste righe ha recentemente lanciato con il consenso della Fikta e l’apporto determinante del M°Perlati.

 

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