Essere contenti si, accontentarsi mai…

eventskarate 24 novembre 2016

di Fabio Tomei
Penso, si a volte capita anche questo nel turbinio di cose che abbiamo da fare nel frullatore della società odierna,

capita, dicevo, di pensare e ritengo che per prima cosa ci sia da analizzare se quel che si sta facendo è proprio ciò che vogliamo, e questa domanda ce la si deve porre in maniera disperatamente onesta, d’altronde se non siamo onesti con noi stessi…, quindi una volta determinata la risposta sorge una ulteriore domanda: ”sono contento di ciò che sto facendo?” ed ancora “il mondo cui appartengo sta inviando i feedback che mi aspettavo?”
Fermo restando che il mondo è vasto e variopinto, e che non tutte le tonalità di colore possono essermi gradite, può essere che io mi trovi bene, diciamo “abbastanza” bene, … questo significa che devo “accontentarmi”??? che io non debba far niente affinché possa diventare “contento”? di quello che sto facendo?
Oppure siccome tutto il resto del mondo, del “gruppo” cui faccio parte non dice nulla io mi adeguo e dico tutto ciò che dice il gruppo?… c’è un esperimento in psicologia denominato di Asch, molto consolidato (è del 1956) L’assunto di base del suo esperimento consisteva nel fatto che l’essere membro di un gruppo è una condizione sufficiente a modificare le azioni e, in una certa misura, anche i giudizi e le percezioni visive di una persona. L’esperimento si focalizzava sulla possibilità di influire sulle percezioni e sulle valutazioni di dati oggettivi, senza ricorrere a false informazioni sulla realtà o a distorsioni oggettive palesi. Il protocollo sperimentale prevedeva che 8 soggetti, di cui 7 collaboratori/confederati dello sperimentatore all’insaputa dell’ottavo (soggetto sperimentale), si incontrassero in un laboratorio, per quello che veniva presentato come un normale esercizio di discriminazione visiva. Lo sperimentatore presentava loro delle schede con tre linee di diversa lunghezza in ordine decrescente mentre su un’altra scheda vi era disegnata un’altra linea, di lunghezza uguale alla prima linea della prima scheda. Chiedeva a quel punto ai soggetti, iniziando dai complici, quale fosse la linea corrispondente nelle due schede. Dopo un paio di ripetizioni “normali”, alla terza serie di domande i complici iniziavano a rispondere in maniera concorde e palesemente errata.
Il vero soggetto sperimentale, che doveva rispondere per ultimo o penultimo, in un’ampia serie di casi iniziava regolarmente a rispondere anche lui in maniera scorretta, conformandosi alla risposta sbagliata data dalla maggioranza di persone che aveva risposto prima di lui. In sintesi, pur sapendo soggettivamente quale fosse la “vera” risposta giusta, il soggetto sperimentale decideva, consapevolmente e pur sulla base di un dato oggettivo, di assumere la posizione esplicitata dalla maggioranza (solo una piccola percentuale si sottraeva alla pressione del gruppo, dichiarando ciò che vedeva realmente e non ciò che sentiva di “dover” dire). Questo si ripete nel 75% degli intervistati mentre il 25% non si allinea, le percentuali cambiano se il soggetto sperimentale deve “scrivere” la risposta piuttosto che esplicitarla palesemente ma la componente del “gruppo” rimane predominante e rapportando questo ai social network si può dire che la dinamica è la stessa quando un nuovo utente entra in un gruppo si adatta e si conforma agli utenti più “attivi” e navigati e, attraverso l’apprendimento vicario, ha più possibilità di avvicinarsi al loro modo di comportamento. Il conformismo sociale studiato da Asch è presente anche online soprattutto per i comportamenti che riguardano i rinforzi positivi (“mi piace”, commenti positivi, condivisioni) come nel mondo non virtuale la percezione della socialità è influenzata dalle euristiche, le euristiche sono meccanismi di ragionamento che consentono di prendere decisioni sulla base di credenze permettendo di fare scelte senza avere informazioni adeguate o esaurienti, gli effetti dell’euristica della disponibilità e dell’errore fondamentale di attribuzione sono presenti anche online sui social (il famoso proliferare delle “bufale”).
Ora dopo questa ampia dissertazione, che forse mi ha preso la mano e me ne scuso, riportando tutto al mondo, inteso come “sistema” del Karate e nella fattispecie del Karate “sportivo” visto che per gran parte della mia vita di karatejin 空手人 (quello che volgarmente viene definito “karateka”) e, praticamente, in tutta la mia vita visto l’età in cui ho iniziato e che sfiora il mezzo secolo (la vita con la cintura, non l’età reale, sigh) io sono stato, sono e sarò un esponente.
Penso che il mondo sportivo, con i suoi circuiti, con il suo movimento, con la sua globalità planetaria abbia dato (e tantissimo potrà dare) al Karate e che i valori etici e filosofici propri del Karate- do si sposano perfettamente con i valori etici, di lealtà, fraternità, cooperazione e solidarietà propri dello Sport.
Quindi su questo non ci possono e non ci devono essere dubbi, cerco di essere sempre aggiornato, sulle varie metodologie di allenamento e di insegnamento, proprio per evitare di cadere nel conformismo che vedrebbe un maestro della mia età accedere al consolidamento e radicalizzazione di una sua idea, una sua ipotesi o linea di comportamento, in poche parole essere il capo di una “scuola” che veda tutti i miei dogmi riconosciuti come assoluti,
insomma il “vecchio saggio” carismatico e infallibile, perché io non sono né vecchio né, tantomeno, saggio, infallibile poi neanche a parlarne, essendo benevolo con me stesso (spesso induco a farlo) potrei riconoscermi una certa dose di carisma e di capacità di coinvolgimento.
Però per mia forma mentis sento di appartenere a quel 25% che non si allineerebbe con il conformismo dilagante, e sento che questo mi nasce proprio dalla mia educazione di karatejin, se la nostra natura ci porta a ripetere un kata una volta di più ogni volta perché non ci vediamo mai perfetti, se porta a ripetere una tecnica centinaia, migliaia, milioni di volte perché sappiamo che ogni volta di più è un passo verso la perfezione divina, che non raggiungeremo mai ma cui dobbiamo aspirare, mi chiedo come facciamo ad accontentarci a dire che questo che è diventato oggi la nostra disciplina sia il meglio cui possiamo pretendere? Molti anni fa si decise che una antica Arte potesse divenire anche Sport, ma non ricordo nessun momento in cui si decise che lo Sport dovesse soppiantare in tutto l’antica Arte…
In ogni caso pongo un’altra domanda: ma uno sport deve essere uno spettacolo fruibile anche da chi non ne fa parte, oppure destinato ai pochi “eletti” che lo praticano? Se ci pensate non è una domanda peregrina: ci deve essere qualcosa che colpisce l’immaginario collettivo altrimenti non avrebbe senso, tutti sanno che nel calcio bisogna fare un gol più dell’avversario, nel basket un canestro di più, nel volley far cadere la palla a terra nel campo avversario; poi ci sono sport che non ci sono molto chiari come regolamento ma che “colpiscono” tipo il baseball dove tutti trattengono il fiato quando il battitore (quello con la mazza) tenta di colpire la palla del lanciatore, e tutti aspettano quel momento e sperano in un “fuori campo” dopodiché sono pochi a sapere la differenza tra “inn” e “strike” o capire il conteggio degli innings eccetera, tutti guardiamo la scherma ogni 4 anni (dopodiché io vorrei sapere quante scuole di scherma esistono in Italia tolte quelle storiche) e ci emozioniamo quando si accendono le luci ma a parte i tecnici pochi capiscono cos’è una parata di “terza”.
Ecco io oggi nel karate, specialmente nel kumite (mentre il kata mi sembra ancora “preservato” specialmente a squadre dove ai massimi livelli è sicuramente spettacolare, anche se, purtroppo, ai giochi olimpici questa specialità non ci sarà) il kumite, dicevo, non mi sembra abbia motivi per appassionare troppo le folle, c’è, sempre a mio parere, un regolamento che impedisce il libero fluire del combattimento, i parametri per l’assegnazione di un punto, sono così rigidi che una volta in svantaggio è quasi impossibile recuperare e questo porta gli atleti a un tatticismo molte, moltissime volte snervante.
E si che gli atleti di oggi sono bravissimi, preparatissimi a 360°, insomma è un po’ come avere delle Ferrari e poi essere costretti a camminare su delle mulattiere o stradine di campagna.
Concluderei dicendo che non è sbagliato praticare il Karate sportivo, e , soprattutto, non è sbagliato essere alle Olimpiadi, queste sono la consacrazione per un qualsiasi movimento sportivo, a patto di non snaturarsi, di rispettare la propria storia, il proprio percorso, quindi mi piacerebbe vedere che qualcuno da “dentro” dicesse che forse, ripeto “forse”, potremmo migliorarlo e dico da “dentro” perché chi sta “fuori” chi pratica quel Karate chiamato “tradizionale”, che rispetta altri canoni ed altre regole non può giudicare una cosa che non ha mai fatto o praticato. Chi vorrà capire il senso delle mie parole potrà alimentare una discussione sana e costruttiva chi vorrà fare spot a questa o a quella etichetta lasci perdere: ha già vinto perché è contento così , siccome a me piace camminare… non mi accontento !

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