Roberto Mongardini

Stavo guardando questa mia foto giovanile e all’epoca non sapevo che, da li a poco, la mia vita sarebbe totalmente cambiata, chiamandomi ad altre responsabilità ed in altri luoghi senza mai abbandonare totalmente la via maestra ma, purtroppo, fortemente limitandola e facendola convivere con discipline e stili diversi, permettendomi di ampliare la mia conoscenza personale. Ricordo ancora perfettamente però, il piacere, la speranza e l’emozione di discutere con altri amici e colleghi di qualcosa a cui aspiravamo o
forse solo sognavamo all’epoca: Olimpiadi. Parola magica e sacra, che tutto racchiudeva in quegli anni per ogni sportivo, quando si affacciavano i primi professionisti che avrebbero rinunciato a quella rassegna per le borse remunerate che già iniziavano a percepire, ma per noi, figli di uno sport duro e povero, era così.
Sembra ieri e sono passati 50 anni, non senza rimpianti, non senza nuove speranze e delusioni; ma non dimentico quei volti di giovani atleti, che si illuminavano nel proferire questa parola, esattamente
allo stesso modo di come si sono illuminati i volti degli atleti di oggi, che le hanno potute fare o solamente vedere. Volti che passano e lasciano un segno, un desiderio, una volontà, così come ho rivisto i
giovani volti di una volta, da “parti diverse della barricata” e mi son chiesto, ancora una volta, quale è l’utilità di queste divisioni.
L’evento ha radunato, davanti agli schermi e nel tifo, i praticanti di tutto il mondo ed in Italia chiunque lo pratichi, filjkam o meno, critici o concordi sul sistema adottato, tifava Italia e gli italiani in gara erano patrimonio comune, pur nelle differenze esistenti e di cui tutti siamo consci. Dobbiamo, per questo magnifico scenario, ringraziare solamente il paese del Sol Levante e non certo sigle varie, se approfittando della sua ospitalità per i giochi, parimenti al judo in passato, ha permesso questa ribalta planetaria alla nostra disciplina.
Oggi, invece, la definitiva esclusione del karate dalle discipline olimpiche (che facciamo si continua a dire nel 2032-2036?) deve comportare però una riflessione urgente e necessaria. ll dispiacere per questo evento doloroso e da più parti atteso e previsto, non mi impedisce di vedere quella mancanza che definirei di responsabilità, in capo alla WKF, per il tentativo monopolistico egemonico attuato a livello mondiale e di riflesso, in Italia, con la sua promanazione in FILJ(K)AM che lo ha, conseguentemente,
fatto suo a livello nazionale, sicuramente non portando benefici alla nostra disciplina e all’intero movimento, come sappiamo articolato in mille rivoli ma forti numeri. Credo che LA (e non “una”) Federazione sotto l’egida CONI, per come la intendo io ovviamente, in prima istanza debba sempre porsi l’obiettivo della unità di tutti i suoi praticanti come priorità assoluta e necessaria.
Per questo, credo che occorra un cambio di mentalità e l’adesione ai principi che il CIO ha sempre richiesto ad ogni sport e vieppiù al karate: una UNICA federazione mondiale e nazionale, come per il
judo, dove il 30% organizzato (WKF) non può rivendicare anche i diritti di un restante 70% dei praticanti, variamente disorganizzato questo si, al di fuori del circuito predominante ma, non per questo unico considerabile!!!. Si è fatto orecchie da mercante a questa più che legittima richiesta e questo è il risultato, peraltro certo da tempo a mio avviso, nonostante  l’indubbio e spassionato impegno profuso da alcuni e le smentite continue, oltre il martellante ritornello del “noi siamo quelli olimpici”, non sempre detto con l’intento di sottolineare una realtà (passata) ma, anzi, spesso per sminuire chi non lo era (qualunque fossero le ragioni per cui si proseguiva la pratica al di fuori della federazione del CONI) diciamo utilizzandolo come una sorta di patente di “capacità” che, solitamente, a quel che ricordo si dimostra sul tatami e non, invece, a parole o diplomi vari, io credo. Non basta, quindi, a sommesso avviso, dire “noi” siamo la federazione ufficiale per essere riconosciuta e praticata come tale, senza il consenso di un intero movimento di cui sarebbe interessante contare veramente i numeri, anche per vedere come ciò non sia vero. Anche perché, rivendicare di rappresentare l’intero movimento del karate e la disciplina stessa è veramente assurdo, quando il tutto si è evidentemente ridotto a 3-4 colpi (obbligati) per colpa, come detto, di un regolamento di gara che definire “scarso” o non confacente allo scopo è poco, così esasperato come è da una gestualità arbitrale degna di una setta iniziatica. La riprova è data dalla mancanza di pubblico dal vivo e per l’evento olimpico, dalla mancanza continuativa dei numeri in tv, perché il pubblico dei “non addetti ai lavori” abbandonava in breve la visione, considerata la
incomprensibilità di ciò che vedeva sullo schermo.
Mi auguro che, oggi stesso, il Presidente FALCONE pretenda dai vertici di settore, quindi da LEI che gode anche come ex-atleta di livello mondiale (e per cui tutti, erga omnes, abbiamo fatto il tifo) e uomo di buona volontà di indiscusso prestigio e dal suo capace gruppo dirigente, l’avvio di seri contatti con tutte le sigle esistenti in Italia facciano in seno alla wkf, di cui lei è membro decisionale, lasciando da parte forse più pressanti “ragioni di marketing” con i continui cambiamenti (karategì, protezioni, joystick e var ecc.) che hanno poi riflesso nel regolamento e nell’aspetto sportivo.
Il bene della nostra disciplina è UNICAMENTE nel perseguire la strada dell’unità, sopra ogni cosa ed interesse di parte (di chiunque) ed è bene dirlo: chi non intende fare e perseguire questa strada con
tenacia è NEMICO di questa antica disciplina, anche nella sua versione sportiva sia chiaro (che mai deve essere troppo lontana dalla visione unitaria della disciplina, però!!), seppure dissimuli il suo atteggiamento. Cosi come fece il compianto Avv. Ceracchini nel perseguire un sogno: quello del karate unificato, sin dai tempi più antichi e problematici della contrapposizione FIK e FESIKA, che LUI e solo LUI seppe comporre.
Solo cosi, è ragionevole credere, ci saranno nuove possibilità ed un futuro migliore per tutti gli appassionati e i praticanti della nostra meravigliosa disciplina. La revisione del regolamento di gara, delle
tecniche, della sovrastruttura arbitrale, che è la vera, attuale attrice principale del “combattimento  sportivo” e la semplificazione della comprensione del gesto sportivo al pubblico deve essere oggetto di
profondo studio, non senza pero dimenticare le proprie origini e la disciplina di cui si vuole il nome, cosi come ora invece è stato fatto, dimentichi di ogni cosa nella pura esasperazione del gesto atletico,
anche a discapito della tecnica e della conoscenza complessiva della disciplina.
Come si può essere arrivati a questo punto me lo chiedo, non senza stupore. Raggiungere il massimo livello è significato indubbiamente retrocedere, anziché avanzare ulteriormente, cosa che da anni abbiamo conosciuto con il proliferare di varie altre discipline da combattimento che, e di questo dobbiamo rammaricarci per averlo permesso, riprendono solo vagamente cose che noi possedevamo una volta (ma non la disciplina ed il rispetto) e che il combattimento sportivo, che preferisco per mia scelta definire diverso dal kumite, non ha più al giorno d’oggi.
Unire le diverse componenti è il compito che deve darsi chiunque voglia aspirare ad essere il riferimento nel settore ed assumerne la leadership, il resto è salvaguardia dei posti di potere e pura ignoranza del fenomeno, come ci è capitato di vedere nel recente passato, eppure cosa è cambiato? I praticanti sono divisi dalla politica, ma poi salgono su un unico tatami (quando gli viene consentito senza assurdi ed anacronistici anatemi peraltro non corretti in ambito UE!!!) e si ritrovano simili e con la stessa voglia di
conoscere, apprendere, lavorare e sudare insieme. I praticanti sono pronti a riunirsi, a fare karate insieme quindi: e voi politici di ogni parte che fate?
È compito di voi politici fare il bene della disciplina, adoperandovi per l’unificazione italiana in primis e poi spingere sui vari organismi sovranazionali, per quella mondiale; se l’interesse per il bene del karate è reale e non solo materiale. Oltre questo, non c’è nessun’altro scopo alla vostra stessa esistenza e permanenza in quei posti, sia chiaro, secondo la mia visione.
Però, mi piace credere e ci spero che, mai come ora, una sconfitta possa essere tramutata in una definitiva vittoria ma…serve veramente essere degli uomini di buona volontà e abbandonare certi proclami che non fanno onore alla nostra magnifica disciplina che, necessita di essere ripresa in modo più esteso e completo ed al nostro essere uomini di sport.
Il karate è un fiume in piena. Lasciatelo fluire tranquillo in ogni sua componente ed esso saprà allargarsi in rivoli che nutriranno nuovi campi, che potranno essere arati e seminati, darà rifugio e nutrimenti ai pesci che ne faranno parte, crescerà nuove specie vegetali, portando vita e linfa ed infine si riunirà nel mare, allo stesso, identico elemento, in un magnifico tutto di cui si compone.
Almeno questo è il mio pensiero che propongo a voi, praticanti e politici, da ultimo tra i praticanti quale sono.
Auguro un Buon Lavoro a tutti… ma unicamente se insieme.
Roberto MONGARDINI

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